🔻 “Io sono la dolce Brescia. Dio è il mio saldo fondamento”🔺DAL GRUPPO G9

Ciò che si legge nel titolo era sotto lo stemma di Brescia, secondo Bonvesin de La Riva, frate laico dell’Ordine degli Umiliati, lo stesso ordine di cui faceva parte Alberico da Gambara, il grande urbanista che nel XIII secolo segnò i confini di questa città...

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Il bronzo rappresenta "la pittura", musa di Moretto. Il volto è della moglie di Domenico Ghidoni, autore del monumento, foto di Mario Baldoli

di Mario Baldoli – Ciò che si legge nel titolo era sotto lo stemma di Brescia, secondo Bonvesin de La Riva, frate laico dell’Ordine degli Umiliati, lo stesso ordine di cui faceva parte Alberico da Gambara, il grande urbanista che nel XIII secolo segnò i confini di questa città. Lo stemma era probabilmente il Leone di San Marco che diventò la Leonessa d’Italia nelle rime di Aleardi e di Carducci. Proprio in questi giorni, nel 1849 Brescia combattè le sue X Giornate.

Il libro Brescia, giornale di viaggio e di sentimento, ed. Marzorati 1989, a cura di Giannetto Valzelli, riunisce giudizi su Brescia di 32 scrittori, di cui dieci stranieri, a partire dal Duecento: da Salimbene de Adam fino a Indro Montanelli nel 1965.

Spostiamoci da Brescia all’Italia, Quando pensiamo al più significativo viaggio nella penisola, ci appare Goethe sul Garda. I limoni, i venti e le acque, Mignon. Dimentichiamo che Goethe venne nel 1786, e scrisse il Viaggio in Italia vent’anni dopo, facendone un’autobiografia narrativa, un romanzo di formazione, un diario. Facile trovare qualcosa che non torna: come poteva da Torbole, dove risiedeva, vedere l’intero Garda? Quei limoni erano a Limone o in Sicilia? E’ plausibile la storia delle guardie che stanno per arrestarlo a Malcesine e il suo strano salvataggio? Da dove spunta Mignon? Eppure Goethe che restò in Italia due anni, non volle insegnare nulla, si lasciò impregnare dai luoghi, lasciò parlare le persone e parlò con loro, mangiò alle nostre mense, dormì nelle nostre locande, capì soprattutto la nostra arte. Lo disse e lo scrisse in una lettera al figlio che più tardi venne pure in Italia.

Ciò vale anche per Brescia: viaggiare è un atto di umiltà e di amore. L’ambiente deve rimbalzare dentro di noi, allargare il nostro spirito.

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Arriviamo al Novecento e cambia il modo di viaggiare, ma come? è il “come” che spiega il “che cosa”, cioè il viaggio.

Nel libro su Brescia ciò si coglie in pieno in tre grandi: un divertito Edoardo Scarfoglio che assiste alla “Settimana automobilistica” e alla “Gara di motonautica”. Racconta con spasso la polvere sollevata dalle auto, i nembi di fumo, la folla che a Desenzano palpita in attesa della gara di motonautica, cioè il motore di un’autovettura montato su un battello, scrive semplificando. All’Hotel d’Italia ci sono tutte le donne più note dello Stivale, con bianchi veli sul capo Ma ecco che manca il pane, e lui corre a Salò “con la velocità che una fame formidabile può imprimere a un robusto motore”. Poi il lago ritorna bello come l’istinto di tranquillità che impone il meritato riposo. Una cronaca allegra che non manca di qualche profondità.

Un grande è Corrado Alvaro, inviato qui nel 1932 per raccontare l’urbanistica littoria con la piazza del Bigio. Ma lo scrittore dimentica la littoria e sbuca in piazza Loggia dove “m’incantai per un pezzo (…) La struttura della loggia ha elementi che allargano l’idea che noi abbiamo del Rinascimento, e fanno balenare il pensiero che quest’arte esemplare porti in sé elementi non soltanto del nostro classicismo, ma di un classicismo di tutte le arti, il principio stesso delle esplorazioni artistiche dell’uomo. Non mi stupirei di ritrovare quella cupola a scafo in un oriente lontano (…) l’orologio del portico settentrionale come si muoveva. Quasi trascinando nel suo moto lento e fatale le ore, i segni dello zodiaco, le posizioni dei pianeti, le fasi della luna, i progressi del sole”. Poi lo troviamo in piazza del Duomo. Nota le molte statue in cui Brescia ama rappresentarsi: “Brescia romana, armata, disarmata, nuda, dama del Settecento. E perché poi seguendo questo culto cittadino non l’hanno raffigurata in piazza della Vittoria, se pur c’era bisogno di una statua, al posto di quel Davide moderno? Piazza Vittoria coi suoi marmi in ritardatario furore di razionalismo, un’architettura moderna, non un’architettura razionale, è una deficienza creativa. Tutto odorava come un appartamento nuovo, tutto lucido, tutto in una lussuosa armonia, e sia pure troppo lusso, senza uno di quei tratti umili che sempre l’arte italiana ha posto a guardia delle sue cose più alte, per renderle più umane e confidenziali”.

Nel 1951 arriva dalla Provenza Jean Giono, che aveva nonno piemontese e carbonaro. Giunge alle 8 di sera e trova un Brescia vuota, silenziosa “mai visto nulla di più romantico, un tram vuoto, nemmeno un caffè aperto (…) Sono venuto qui non per conoscere l’Italia, ma per essere felice. E lo sono, con queste persone che non si prendono per pezzi grossi e non sono esibizionisti. Brescia è un luogo dove si prende la felicità come in altri si prende la peste. E’ un piacere immenso per me il tempo che perdo. Mi figuro di abitare a Brescia. Colloco la mia biblioteca e il mio tavolo al secondo piano di una bella casa sulle cui finestre viene a posarsi il dolce sole. In piazza del Duomo vi sono due fontane deliziose, una si chiama Brescia guerriera. E’ una specie di Pallade con l’elmo in capo, paffutella e ben dotata di attributi. Tutto è sereno e parla di umanità, piccole botteghe artigiane, massaie che scambiano parole sulle soglie”.

Altri, per arretrare fino al fatuo Stendhal, scrivono di teatro, di donne dagli occhi più belli d’Italia, di officine, di armi perché, come diceva Zanardelli: “Nella valle del Mella ogni casa è un’officina, ogni nome un artefice, ogni famiglia esercitò l’industria delle armi sì che tiene conto ad essa come ad una specie di nobiltà gentilizia”. Già nel Trecento Brescia era una capitale delle armi, ha notato Braudel. Una Brescia dedita al lavoro, coi talloni per terra, aggiunge Valetti.

Tanti altri: Flaiano, Vittorio Sereni, Guido Piovene, Giorgio Bocca, Indro Montanelli sono grandi inviati che si fermano a Brescia un paio di giorni e ci fanno la pedagogia

Ma in settant’anni la città ha capovolto il suo modo di essere, è tornata dolce, come la vedeva frate Bonvesin.

La città di oggi si trova in una poesia di Andrea Tortelli, Guida poetica di Brescia, liberedizioni.

M’innamoro di te

Beata non santa

stai

le braccia raccolte

sotto al bronzo più alto:

quello è il Moretto

insigne pittore

che meritò una piazza e una via

tu niente

musa forse – dello scultore però

riposi lì sotto e pur leggi

in fronte alle tue rose rosse:

che leggi bellezza?

Ogni volta ch’io passo

M’innamoro di te.

Cioè della moglie dello scultore Domenico Ghidoni che sopra di lei immortalò Moretto, ma si sa che i mariti sono gli ultimi a sapere.

ARTICOLO A CURA DEL GRUPPO G9

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