“Terra all’orizzonte”: prospettive psicologiche e di vita in pre e post-lockdown | 🟢 BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Il lockdown della seconda ondata è stato diverso ed è fondamentale tracciare le caratteristiche che lo differenziano dal primo, per cercare di capire che cosa sta accadendo in questi giorni, in queste prime settimane di zone gialle diffuse.

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

“Vorrei dirti ora le stesse cose, ma come fan presto ad appassire le rose”: Fabrizio De Andrè docet

di Doriana Galdrisi* – Post lockdown oggi, post lockdown lo scorso maggio: stesso nome ma caratteristiche oggettive, pratiche e psicologiche diverse. Un anno fa, proprio agli inizi del mese di maggio, terminava la fase di confinamento in casa, di chiusura di molti uffici e attività, molti di più di quelli chiusi durante il lockdown di quest’inverno, quando molte categorie commerciali (e non solo) hanno avuto il permesso di continuare l’attività, mentre la prima volta non è stato così.

Il lockdown della seconda ondata è stato diverso ed è fondamentale tracciare le caratteristiche che lo differenziano dal primo, per cercare di capire che cosa sta accadendo in questi giorni, in queste prime settimane di zone gialle diffuse.

La prima e più evidente differenza è la collocazione temporale: allora, in marzo e aprile 2020 (la fine del confinamento lo scorso anno era stata decretata il 4 maggio), si era in un periodo in cui, sia gli orizzonti prospettici sia le linee pratiche erano difficili da tracciare: il virus si era presentato in Italia in modo improvviso, tutto sommato inatteso nonostante l’esperienza cinese (che era considerata lontana, straniera, non ripetibile in casa nostra). Il Covid-19 era uno sconosciuto che si è abbattuto sulle nostre vite come un uragano, provocando una situazione che, per lo meno nella nostra epoca, non si era mai verificata prima.

Il primo lockdown quindi ha avuto un impatto molto forte e ha determinato una sorta di effetto shock, un terremoto che, in qualche modo, ha bloccato le persone. Il secondo lockdown, oltre ad avere restrizioni differenze, ha fatto ritornare le persone ad una situazione già vissuta, quindi meno straniante, seppur sempre di sofferenza, acuita da una specie di sensazione di “déjà-vu”.

La collocazione temporale non è un aspetto banale, anzi è fondamentale perché è correlata alle fasi delle situazioni di emergenza che, nel caso della pandemia, si qualificano sotto l’etichetta di disastro (ricordo che ho già affrontato questo tema, in altri articoli o in  occasioni di altro tipo, come, nello specifico, negli incontri de “La scienza di eccellenza” che si sono svolti sui miei canali social e youtube e sono confluiti nel primo volume, recentemente pubblicato da Gam edizioni, dal titolo, appunto, “La scienza di eccellenza al tempo del Covid-19”).

Il disastro si connota proprio per il suo impatto imprevedibile, che procura delle conseguenze molto gravi sulla vita e sulla salute delle persone; un impatto che supera la portata di reazioni individuali o di singole collettività, che richiede interventi straordinari anche da parte delle istituzioni politiche, che procura confusione e disorganizzazione a livello psicologico e che è spesso caratterizzato da novità, nel senso che si tratta di situazioni o mai verificatesi prima o comunque con caratteristiche diverse dalle precedenti e perciò non è facile inquadrare bene il problema.

All’interno delle situazioni emergenziali di disastro le fasi di reattività sono diverse: la prima è quella dello shock, in cui c’è un forte disorientamento e si manifestano angoscia profonda, spavento, disperazione.

Alla fase di shock e a quella di emergenza segue quella che viene chiamata fase eroica, durante la quale sono messi in azione degli interventi per aiutare le persone vittime di disastro; si tratta di un passaggio in cui spesso compaiono comportamenti di solidarietà, quasi di altruismo euforico. È un po’ quello che abbiamo visto quando, nella primavera 2020, da un lato si ballava sui balconi e dall’alto lato vi era una catena di solidarietà molto forte.

Alla fase eroica segue quella di “luna di miele”, un momento cioè in cui apparentemente le persone si danno da fare per riparare i danni e, in qualche modo, prevalgono sentimenti “buonisti”, solidali, altruistici…. Purtroppo la fase di “luna di miele” non ha un gran durata, di solito oscilla tra qualche giorno a due anni dopo una situazione di disastro.

Segue poi, più o meno lentamente, una fase di disillusione (letdown), che può comparire appunto in un lasso di tempo tra i due mesi ed i due anni, e anche in questo caso i sentimenti sono molto forti: compaiono rabbia e depressione, le persone sono disilluse e deluse dalle promesse non mantenute, dagli aiuti che non arrivano, e si comincia a vedere una forte diminuzione del senso di condivisione, di solidarietà, di aiuto comunitario.

Oggi in che fase ci collochiamo? Oggi siamo in transito da una fase di disillusione ad una di ricostruzione vera e propria, nella quale vi sarà una direzione più precisa, di programmi di welfare e di priorità per tutti coloro che sono vittime di situazioni di disastro.

Disillusione e letdown, quando ancora sono troppo presenti, tendono a portare con sé la diminuzione dell’altruismo, della disponibilità e della voglia di attivarsi per gli altri perché il benessere personale e lo sforzo richiesto, sia per la propria tenuta sia per l’aiuto verso gli altri diventano insostenibili o comunque molto difficili da pensare, da progettare e, quindi, da realizzare.

Tra il primo e il più recente lockdown la reattività si differenzia: all’inizio era fondamentalmente più improntata all’adeguamento (conseguente al senso di paura e di smarrimento di fronte a ciò che stava succedendo) mentre in quest’ultima fase di lockdown la reattività è stata connotata da maggiore azione e intraprendenza, a volte anche trasgressiva o comunque oppositiva, in parte anche correlata a comunicazioni istituzionali non sempre chiare, concordanti, che purtroppo hanno l’effetto di incidere sulla fiducia nei governi; ma la fiducia nelle istituzioni è un fattore molto importante nel creare la compliance e la fiducia.

A tutto ciò si aggiungano aspetti che attengono in modo molto specifico al funzionamento della mente di ognuno di noi: per esempio la pandemia fa affiorare questioni di portata enorme che non affrontiamo così spesso: si tratta, ad esempio, dei dilemmi tra salute ed economia, della necessità di trovare degli equilibri, difficilissimi da stabilire, tra problematiche relative, appunto, alla salute e quelle relative all’economia.

Qui arriviamo al nocciolo della questione: conciliare le esigenze sanitarie a quelle socio-economiche è estremamente complesso, soprattutto quando vi sono, nel substrato di pensiero ed emozionale di ognuno di noi, disillusione e sfiducia.

Unendo questi due assi ortogonali, si mette in moto un meccanismo mentale che ci viene spiegato da grandi studiosi, riconosciuti anche da premi Nobel: si attivano dei meccanismi cognitivi che vanno sotto il nome di processi di decision making, cioè i processi di decisione.

Alle persone a cui viene chiesto di tenere chiuso, oltre alle problematiche pratiche, sorgono una serie di pensieri, di ragionamenti ed interpretazioni che potremmo riassumere così: “devo tenere chiuso perché mi dicono che, in tal modo, ci sarà un miglioramento della situazione sanitaria e questo me lo dicono su base probabilistica. Ma io non credo al miglioramento più di tanto (anche perché le informazioni che mi raggiungono sono spesso discordanti) e preferisco mettere a rischio la salute piuttosto che rinunciare al guadagno, perché se di Covid posso anche non ammalarmi, di stenti invece posso sicuramente morire”.

Questo tipo di schema di analisi del problema va sotto il nome di “effetto certezza”, per cui si tende a scegliere sulla base del guadagno certo ancorché minore.

Questo effetto, detto anche avversione alle perdite, fu individuato da Daniel Kahneman che ricevette il Premio Nobel nel 2002 proprio per gli studi sul decision making.

Se poi consideriamo che attualmente siamo in un contesto di perdita più che di guadagno, i comportamenti hanno ulteriori connotazioni particolari: gli studi ci dicono che le persone preferiscono correre il rischio di una grossa perdita, quella della salute appunto (in seguito ad assembramenti e alla trasgressione alle norme) che è sì enorme ma soltanto ipotetica, piuttosto che accettare la certezza di una più piccola perdita (effetto riflesso).

A contribuire alla formazione di questi meccanismi di pensiero e di decisione concorrono anche le caratteristiche, se così vogliamo dire: morfologiche, del Coronavirus: il Coronavirus è invisibile, colpisce in maniera imprevedibile e, soprattutto, è diacronico, quindi può comparire con intensità e con coinvolgimenti anche molto diversi in regioni e zone vicine o lontanissime; tutto questo rende il virus meno palpabile, meno tangibile, meno concreto, quindi più irreale (effetto irrealtà che è uno dei fattori di dispercezione del rischio).

Di fronte alla probabilità di essere colpiti dal virus, unitamente all’abbassamento o ad una fiducia oscillante nei governi e dal fattore diacronia e da quello di lunga durata, si reagisce con una tendenza alla trasgressione.

Nelle situazioni di emergenza pertanto i processi di decisione sulla scelta dei comportamenti da adottare o da evitare spesso assumono, quindi, forme anti intuitive e, apparentemente, paradossali.

Per far fronte a questo scenario così complesso è essenziale la comunicazione, cioè il modo in cui politici, amministratori e scienziati parlano e si rivolgono ai cittadini e alle persone. Una buona comunicazione è tale quando sa creare fiducia e compliance, per farlo deve   essere supportata da dati ben calibrati e dimostrati (comunicazione consistente), deve essere chiara e comprensibile, e, soprattutto deve essere onesta e sincera. Insomma va detta la verità a tutti.

“La verità ti fa male lo so…” sulle note e le parole della famosa  canzone di Caterina Caselli NESSUNO MI PUÒ GIUDICARE, vi saluto, vi ringrazio per l’attenzione e vi aspetto tra 15 giorni.

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

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Ultimo aggiornamento il 4 Aprile 2024 12:02

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