Che bello, adesso con nonno e nonna posso tornare a giocare ad abbraccio di ferro | 🟢 BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Quando la mia nipotina, che oggi ha 9 mesi, mi chiederà di raccontarle l’era del Covid, la prima immagine che le descriverò sarà quella di uno spot del regista Giuseppe Tornatore, il quale, incaricato all’inizio della campagna vaccinale dall’allora commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri, ha proposto “La stanza degli abbracci”

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

di Doriana Galdrisi* – Quando la mia nipotina, che oggi ha 9 mesi, mi chiederà di raccontarle l’era del Covid, la prima immagine che le descriverò sarà quella di uno spot del regista Giuseppe Tornatore, il quale, incaricato all’inizio della campagna vaccinale dall’allora commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri, ha proposto “La stanza degli abbracci”.

Pur un periodo vedevo questo spot ripetutamente, dalla mattina presto, e mi è rimasto dentro; le protagoniste sono un’anziana madre degente di una casa di riposo e sua figlia che si ritrovano dopo tanto tempo. A separarle c’è un telo di plastica che permette loro un abbraccio. La madre, dopo la stretta avvolta dal cellophane, chiede alla figlia la sua decisione in merito al vaccino contro il Covid e la figlia risponde di avere molti dubbi. Allora la madre le risponde: “i dubbi aiutano ma devi volerti bene”, e su questa frase il vento solleva il telo di plastica.

Questo spot mi è tornato alla mente non appena ho saputo che le Rsa avrebbero riaperto: lo scorso otto maggio infatti nelle strutture sanitarie assistenziali per anziani (Rsa) bresciane sono tornati gli abbracci, almeno per chi ha ultimato il percorso vaccinale, in seguito all’ordinanza del Ministero della Salute che permette ai familiari vaccinati non solo di entrare nelle Rsa e pure di avere un contatto fisico con i loro cari. Può accedere anche chi, sebbene non ancora in possesso del «green pass», presenti altri requisiti specifici, quali un tampone eseguito nelle 48 ore precedenti o la presenza degli anticorpi da malattia.

A dire il vero già da fine marzo era possibile entrare nelle Rsa bresciane, sebbene con distanziamenti rigidi, vetri divisori, spazi ben definiti, regole ferree e, soprattutto, nessun contatto fisico. Ma potersi accarezzare, abbracciare, perfino annusare… beh, ha tutt’altro significato!

È dunque una ventata di gioia quella che ha nuovamente scompigliato la vita, questa volta in positivo, di anziani, ospiti di Rsa e, anzi, probabilmente, soprattutto, dei familiari, poiché il sistema emozionale e reattivo delle persone della terza età è diverso e generalmente più resistente agli urti rispetto a quello dei più giovani.

Questo va a confermare ciò che abbiamo vissuto un po’ tutti noi, che siamo stati catapultati di colpo nel lockdown, durante il quale abbiamo vissuto l’esperienza dell’isolamento e del distanziamento fisico e sociale, due situazioni che sono state durature, pervasive, globali e pressoché uniche nel loro genere nella storia dell’umanità. Di fronte a questa situazione sconvolgente, soprattutto durante la primavera 2020, a molti di noi è capitato di ricevere rassicurazioni, di sentirsi dire “andrà tutto bene”, da persone anziane.

I nonni rincuoravano i figli e si facevano vedere con il sorriso sulle labbra durante le videochiamate che hanno imparato a fare. In questa pandemia infatti si è verificato un fenomeno quasi impensabile nell’era pre-Covid, ovvero la capacità di padroneggiare la tecnologia da parte delle persone non giovani. Tanti anziani hanno “sfidato l’impossibile” e hanno vinto, imparando ad usare smartphone e vari device per tenersi in contatto con i propri cari.

La forza dei nonni è cantata da Enrico Nigiotti nella sua canzone “Nonno Hollywood”, in particolare nei versi che il nipote canta al nonno scomparso: “Mi tengo stretto addosso i tuoi consigli/Perché lo sai che qua non è mai facile/ Per chi fa muso contro, ancora”.

Ecco, sarà questa la canzone che farò ascoltare alla mia nipotina quando mi chiederà della pandemia; e mentre intonerò la melodia penserò ancora ancora all’immagine dello spot e a quel telo di plastica che prende il volo, quasi un simbolo del male che se ne va e della bellezza che ritorna dopo essere stata coperta dal cellophane spazzato dal vento.

A questo punto però dobbiamo attuare una distinzione importante prima di procedere nel nostro ragionamento: fino ad ora ci siamo riferiti agli anziani che stanno bene, ai nonni “ancora in gamba”, come si dice in gergo. Ma la categoria “anziani”, utile quando serve dare un’idea generale, necessita di alcune distinzioni importanti.

Un conto è parlare di anziani autosufficienti, tutt’altro è riferirsi invece a quelli non autosufficienti; tra quest’ultimi occorre inoltre precisare la differenza tra non autosufficienza dovuta a patologie motorie e quella derivante da patologie neuropsicologiche.

Queste puntualizzazioni non sono cavillose bensì essenziali, perché, quando ci riferiamo agli anziani che hanno più risorse dei giovani, ci riferiamo a quelli autosufficienti o, comunque, a quelli che non sono affetti da gravi patologie. È a loro che dobbiamo pensare quando cerchiamo di spiegare le reazioni degli anziani agli stimoli socio-emozionali, ovvero quegli effetti descritti dalla psicologa Laura L. Carstensen dell’Università di Stanford nella sua teoria della selettività socio-emotiva.

Secondo questa teoria le nostre azioni sono motivate da due tipi di obiettivi:

  • obiettivi conoscitivi, che richiedono la ricerca di informazioni anche attraverso nuove relazioni, tipici dei giovani;
  • obiettivi emotivi, che mirano a ridurre le emozioni negative e a massimizzare quelle positive, tipici delle persone anziane.

La  teoria della selettività socio-emotiva ci aiuta a capire come mai i giovani abbiano sentito in maniera più pesante gli effetti dell’isolamento e del distanziamento, così come ci aiuta  uno studio del Dipartimento di Psicologia generale dell’università di Padova secondo cui, a differenza di quanto si possa credere di primo acchito, gli anziani hanno reagito meglio alla pandemia, dando più valore alle emozioni e alle esperienze vissute. Gli anziani infatti, limitando le relazioni agli affetti cari e consolidati, riducono i rischi emotivi come tensioni o conflitti.

Questo specifico meccanismo di regolazione delle emozioni si chiama effetto positività, che permette agli anziani di guardare alla realtà con un filtro positivo. La regolazione delle emozioni cambia nell’avanzamento dell’età e questo ha permesso ai più anziani di essere più resistenti ed emotivamente più stabili rispetto alle persone più giovani.

Ciò non elimina la sofferenza e lo smarrimento vissuto dagli anziani di fronte alla solitudine e alla paura, tutte emozioni e sentimenti che ci sono stati, sono stati forti e profondamente umani e concreti. Ma pur nel dolore tuttavia gli anziani autosufficienti hanno goduto del beneficio di una regolazione emozionale migliore, anche grazie al fatto di non aver bisogno di continue conferme del legame relazionale, ormai introiettato da anni e quindi non così legato al bisogno di presenza fisica e diretta. A seconda dell’età cambia la struttura della sofferenza, che poggia anche sulle esperienze di vita pregresse, le quali diventano dei grandi serbatoi di coraggio, resistenza, risorse.

I giovani invece hanno una storia affettiva diversa, meno lunga, e soprattutto, secondo la teoria della selettività socio-emotiva hanno maggior bisogno di conferme, oltre che di soddisfare obiettivi di tipo conoscitivo e ciò avviene proprio attraverso le relazioni, molto più per i giovani che per le persone di una certa età.

Come detto invece è ben diverso il discorso per gli anziani non autosufficienti, che hanno visto bloccarsi di colpo la propria routine assistenziale dei servizi socio-sanitari: la situazione pandemica ha avuto un impatto molto forte soprattutto sulle persone affette da demenza senile poiché sono venute meno costanza e sistematicità delle cure ospedaliere. Questi anziani, così come i loro caregivers, hanno risentito maggiormente delle difficoltà apportate dalla pandemia rispetto a chi non aveva un percorso clinico da seguire con regolarità.

Vorrei chiudere ricordando proprio le figure atte all’accudimento, sia quelle nelle strutture dedicate, sia quelle a domicilio: queste persone, nel primo periodo dell’emergenza, hanno retto l’impatto, grazie agli strumenti e alle strategie acquisite negli anni. Le difficoltà maggiori sono insorte invece nel momento in cui quando sono state compromesse anche le possibilità di confronto diretto con il personale sanitario, per cui i caregivers si sono sentiti abbandonati. A loro, oltre che ai nostri anziani, va quindi riservato un abbraccio speciale.

Abbraccio da non lesinare finché la fisicità della vita ce lo permette perché poi resteranno l’amore e i ricordi, non gli abbracci. Poi non si potrà che cantare, con Enrico Nigiotti:

 

“E ricordo proprio adesso ogni volta che ridevi

[…]

La ricchezza sta nel semplice, semplice

Nel semplice sorridere in un giorno che non vale niente

[…]

Nonno mi hai lasciato dentro ad un mondo a pile

Una generazione che non so sentire

Ma in fondo siamo storie con mille dettagli

Fragili e bellissimi tra i nostri sbagli.

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

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