Import/Export dis-umanitari.. perlopiù in Pandemia! | 🟢 BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Una delle questioni più attuali di queste settimane, anche nel bresciano, è la presenza di profughi provenienti dall’Afghanistan e dunque il sistema di accoglienza da pianificare per garantire loro soccorso e futuro

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

di Doriana Galdrisi* – Una delle questioni più attuali di queste settimane, anche nel bresciano, è la presenza di profughi provenienti dall’Afghanistan e dunque il sistema di accoglienza da pianificare per garantire loro soccorso e futuro.

A Edolo sono arrivate come prima tranche un centinaio di persone che però sono state trasferite dopo una settimana per lasciar posto ad un altro gruppo; non è ancora ben definito chi resterà nel bresciano e in che modo, anche se il sistema Sai (Sistema di accoglienza e integrazione, ex Sprar) della nostra provincia sta già lavorando per gestire al meglio la situazione, quando il Ministero incaricherà gli enti locali a concretizzare la strategia di accoglienza.

Indipendentemente dalla situazione logistica e contingente, la presenza di profughi è un tema che presenta risvolti certamente sociali ma pure psicologici. L’esperienza di migrazione infatti innesca fattori che hanno ricadute sulla salute sia fisica sia psicologica della persona che si vede costretta ad abbandonare la propria casa.

Negli scenari migratori “classici”, quelli cioè delle migrazioni definite economiche e strutturali quindi non in emergenza, si presenta una poliedrica componente psicologica definita Stress da Transculturazione, ovvero un insieme di dinamiche psicofisiche che intervengono a seguito all’allontanamento forzato dal proprio Paese di origine.

Questo distacco dalla propria terra comporta una serie di cambiamenti e riadattamenti, dalla lingua all’alimentazione, dagli usi e costumi alla religione, insomma, uno stravolgimento  personale che porta con sè la perdita dei propri punti di riferimento. Lo Stress da Transculturazione, che non sempre in verità è negativo, dal momento che, in alcuni casi, è una sorta di messa alla prova del proprio funzionamento, della propria capacità di resilienza; nel caso dei profughi di guerra, ovvero quando la fuga è drammatica e traumatica, le ricadute psico-patologiche sono importanti e spesso di grado severo. Le conseguenze infatti sono sia sul piano fisico e fisiologico, sia su quello psicologico: le persone si ammalano più facilmente, presentano numerosi disturbi fisici, ma anche psicologici, emotivi e comportamentali.

Nelle situazioni di migrazione forzata spesso la violenza è l’esperienza più difficile da affrontare: si tratta di abusi, subiti o visti effettuare verso i propri cari, si tratta anche di traumi da naufragi, da catastrofi e comunque da separazioni affettive molto dolorose.

Tutti traumi che innescano una serie di modalità reattive di tipo psicologico, difensive e gravi, che spesso sono di tipo dissociativo e possono arrivare a produrre delle vere e proprie alterazioni psichiche o far comparire forme deliranti o comunque gravemente depressive e ansiose.

Nelle persone che vivono una fuga traumatica dal proprio territorio, spesso, a livello psicologico, vi sono una serie di disturbi che non sempre risultano facilmente riconoscibili e che possono essere scambiati per aspetti più legati al carattere, alla cultura e non invece alle esperienze di shock e di dolore subite; si presentano infatti difficoltà di concentrazione, irrequietezza, irritabilità, complessità di adattamento nel quotidiano. E’ evidente quindi come il processo di inserimento attivo nel Paese di accoglienza risulti spesso difficoltoso, lento e complesso.

La letteratura scientifica internazionale concorda nell’indicare la migrazione forzata come un elemento che compromette sia la salute mentale sia la qualità delle relazioni sociali delle persone che vivono questo tipo di esperienza.

Un fattore di peggioramento dell’equilibrio psicologico del profugo è la tipologia di prima accoglienza messa in campo in tante strategie governative, ovvero quella della reclusione in centri di identificazione; tutti gli studi scientifici concordano nell’individuare in questa modalità di primo contatto una delle cause principali dell’aumento dello stress da transculturazione.

Ci sono insomma tipiche difficoltà legate alla situazione post-migratoria: i problemi di comprensione legati alla lingua, la paura di non trovare un lavoro o un’istruzione adatta, la nostalgia, la solitudine; a tutto questo a volte si aggiunge la condizione del sentirsi respinti dal contesto in cui si è stati inseriti, nel quale possono verificarsi episodi o tendenze xenofobe.

Infine va dedicata una riflessione specifica ai minori, i quali vivono esperienze di migrazione forzate che possono presentare problematiche diverse o aggiuntive e rispetto agli adulti e a seconda dell’età di riferimento.

Nei bambini il disturbo principale è quello post traumatico da stress, unito ad ansia e depressione. Gli studi, nello specifico quelli dell’Università di Padova, indicano differenti reazioni nei minori a seconda dell’età, ad esempio, nei bambini in età prescolare si osserva la tendenza a regredire e l’insorgenza di comportamenti di aggressività e di chiusura.

Nei minori in età scolare si nota la comparsa persistente di paure, difficoltà nell’apprendimento o nella sfera cognitiva in generale, oltre che sintomi somatici.

Negli adolescenti si manifesta una sorta di mix tra problemi esternalizzati (devianza, comportamenti sociali a rischio…) e internalizzati (depressione, difficoltà alimentari o tendenze al suicidio).

Dal momento che, spesso, tutta la sintomatologia descritta non viene riconosciuta come appartenente ad un quadro clinico psico-patologico, è importante tenere presente che, nel progettare un’azione di accoglienza, è indispensabile la presenza di figure che abbiano competenze e professionalità precise, che conoscano tutti i fattori in gioco nella situazioni di vita e nell’esperienza delle persone che vengono accolte, al fine di cercare di evitare la ritraumatizzazione secondaria, che è data da tutte quelle difficoltà, magari non insuperabili, ma comunque deleterie nei loro effetti su persone già così provate dalla vita.

In particolare occorre prestare profonda attenzione alla comunicazione, sia quella diretta con la persona migrante (attraverso appositi professionisti nella mediazione culturale e non esclusivamente nella traduzione linguistica che spesso non riesce a trasferire aspetti non legati alle parole ma essenziali per non creare incomprensioni) sia quella indiretta, generale, mediatica, più sociale del gruppo di accoglienza, per evitare l’impostazione di linguaggi e comportamenti xenofobi o comunque di discriminazione.

Infine è indispensabile creare una rete tra le realtà pubbliche e private attive nel settore dell’accoglienza, per abbattere l’indifferenza, il sospetto e l’esclusione verso chi viene considerato straniero. Un ruolo fondamentale in questo è giocato dalla scuola e dalle realtà di istruzione, sia per l’alfabetizzazione sia per l’offerta di un ambiente formativo che aiuti i profughi a capire, a ritrovare la propria identità, a ripartire degnamente con la propria vita.

Tutto questo perché noi Italiani e forse noi Europei in generale, non ricordiamo, non abbiamo l’esperienza, spesso nemmeno narrata, delle migrazioni che, a nostra volta nei decenni e nei secoli precedenti a quello che stiamo vivendo, abbiamo dovuto mettere in atto; quindi, in un certo modo, il ricordo delle sofferenze, delle situazioni di solitudine, di paura, di difficoltà, o non si è creato o è così lontano da essere sottoposto ad oblio.

Poiché vale un po’ il detto: “oggi a te, domani a me” e viceversa, la situazione drammatica degli Afghani oggi, che purtroppo si colloca in un contesto già di per sé drammatico a causa della pandemia, deve essere trasformata in un’esperienza comunque positiva, affinché questi flussi migratori non si trasformino in meccanismi di import-export che di umanitario possono avere ben poco anzi, essere più di tipo dis-umanitario.

Grazie per l’attenzione, con questo articolo riprende la rubrica: Brescia vista dalla psicologa. Ci ritroviamo tra 15 giorni, buona ripresa!

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

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