🔻 La fatica, e la bellezza, della partecipazione | 🔺DAL GRUPPO G9

Trent’anni di passione e pratica politica a Brescia: questa la materia della corposa testimonianza che ci ha consegnato Alberto Panighetti nel volume Gli occhi su Brescia. La città trent’anni alla ribalta tra Concilio e la fine dei Partiti, Liberedizioni 2016

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Incontro presso il Circolo ACLI di San Polo: da sin a destra Alessandro Cantoni, Dante Mantovani, Alberto Panighetti e Fabio Capra (foto di Irene Panighetti, per gentile concessione dell'autrice), foto da Gruppo G9

di Laura Giuffredi Trent’anni di passione e pratica politica a Brescia: questa la materia della corposa testimonianza che ci ha consegnato Alberto Panighetti nel volume Gli occhi su Brescia. La città trent’anni alla ribalta tra Concilio e la fine dei Partiti, Liberedizioni 2016.

La discussione intorno al libro, proposta giorni fa del Circolo ACLI di San Polo, è stata più che altro lo spunto per riflettere sul tema della partecipazione e della condivisione democratica delle scelte  politiche, tra organismi istituzionali e cittadinanza.

E quale argomento più d’attualità, visto il distacco tra cittadini e politica, che l’astensionismo allarmante alle ultime elezioni amministartive sembra dimostrare!

Il volume, nel raccontare la vita dell’autore, già funzionario del PCI bresciano, attento ai cambiamenti ed alle dinamiche anche inedite e spesso drammatiche tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, offre l’occasione per riflettere e far riflettere, tra l’altro, sulla natura e funzione degli attuali Consigli di Quartiere, attivi a Brescia da alcuni anni con una formula per certi versi inedita nel panorama nazionale: soprattutto è stata questa la tematica all’ordine del giorno nell’incontro, alla presenza degli assessori del Comune di Brescia Fabio Capra e Alessandro Cantoni.

Copertina del libro di Alberto Panighetti “Gli occhi su Brescia. La città trent’anni alla ribalta tra Concilio e la fine dei Partiti”, foto dal gruppo G9

Il tema risulta caro all’autore, che, come il suo scritto testimonia, ha sempre avuto nel dialogo tra le parti sociali, i partiti, i movimenti d’opinione attivi nel Paese tutto e a Brescia in particolare, il suo punto di riferimento, nell’idea di una società evoluta consapevolmente attiva, con un occhio di particolare attenzione al mondo dei lavoratori.

Se percorriamo i 20 capitoli del volume (con prefazione di Paolo Corsini e postfazione di Silvano Danesi), troviamo la ricostruzione di come i primi anni ’70 videro in città un fermento, che andò dalla grande partecipazione popolare per la formazione dei Consigli di Quartiere nella loro prima versione, alle significative manifestazioni per la pace, specie per il Vietnam: dal locale al globale, le coscienze si interrogavano, ritenendo il terreno del confronto, anche duro, ma sempre franco e corretto, l’unica via per l’esercizio della democrazia e dell’emancipazione.

Proprio nei mesi in cui Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, lanciava la proposta del compromesso storico, Brescia era un laboratorio fecondo di iniziative unitarie, anche fra forze politiche storicamente distanti fra loro (come comunisti e cattolici democratici appartenenti ad Acli, Cisl, ma anche ad alcuni settori della Dc); tanto da scatenare la pesante reazione delle forze contrarie a un così pericoloso, per esse, rinnovamento. Fu il clima rovente che portò alla strage fascista del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia.

Nel racconto appassionato, dall’interno, di Panighetti, la crisi di quella politica di confronto, d’avvicinamento, si interruppe inesorabilmente all’indomani del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro nel 1978.

Il fallimento del compromesso storico si espresse, a livello locale, nella crisi delle larghe intese al Comune di Brescia, legata soprattutto a due fattori: alla sconfitta del movimento di partecipazione popolare, sancita dalla costituzione delle Circoscrizioni in alternativa ai Consigli di Quartiere nel 1978, nonché al progressivo sfaldarsi del movimento sindacale unitario nelle fabbriche a causa della contraddittoria risposta (anche da parte della sinistra e del Pci) alla battaglia contro i licenziamenti alla Fiat nel 1980.

Panighetti è poi convinto che gli eredi di Berlinguer riuscirono a sprecare e buttare alle ortiche la più clamorosa occasione offerta al Pci in tutta la sua storia, quella del sorpasso sulla Dc realizzato alle elezioni europee del giugno 1984, nell’emozione della scomparsa del loro leader. Così, in soli tre anni, successivi a quella vittoria, riuscirono (nelle elezioni politiche del 1987) a far calare il loro consenso addirittura ai livelli di ben 25 anni prima.

Tuttavia un nuovo segnale partì da Brescia nel settembre 1992 con la formazione della giunta guidata da Paolo Corsini, imperniata sull’alleanza fra sinistre e Dc, che metteva fine a due anni di caos nella gestione della città. Era in fondo la ripresa del tentativo di dar vita all’esperienza politica fallita in Italia alla fine degli anni settanta. E ancora, alla fine del 1994, dopo la sconfitta consumata sul piano nazionale, il bresciano Mino Martinazzoli seppe comunque cogliere la lezione, almeno per le conseguenze sulla sua città, dando vita a una vittoriosa coalizione di forze (quelle che non avevano saputo unirsi qualche mese prima a Roma), che lo portò nel dicembre a divenire Sindaco, facendosi così a sua volta antesignano (dopo Paolo Corsini) della futura esperienza dell’Ulivo di Romano Prodi.

Panighetti, in definitiva, individua nelle fasi storiche in cui si potè registrare la fattiva collaborazione tra DC, PCI e forze progressiste, le migliori stagioni per il Paese e per Brescia, anche in termini di slancio partecipativo della cittadinanza alla vita collettiva, individuando finalità e obiettivi “alti” dell’agire politico.

I Consigli di Quartiere, dietro la spinta delle organizzazioni democratiche e popolari presenti sul territorio, a cominciare dai Consigli di Fabbrica e dal Movimento Studentesco, sono comunque stati a Brescia l’espressione più originale della fase virtuosa iniziata negli anni ’70.

Già allora, Panighetti condivise, per questi organismi, l’esigenza che avessero la possibilità di esprimersi su tutti i temi generali di governo della città e non solo su circoscritte questioni legate al territorio.

D’altra parte era evidente che tale esperienza partecipativa era stata in qualche modo “sollecitata, promossa, indirizzata o almeno facilitata dalle locali organizzazioni politiche e sociali”, pur se fu percepita da alcune di esse come fastidiosamente invadente e troppo contestatrice.

L’autore, nel dibattito su questi temi, si mostra perciò critico non solo rispetto al passato, ma ancor più  al presente.

Gli attuali CdQ, a suo parere, poichè svuotati di effettivo potere decisionale, sono incapaci di essere “movimentisti”, effettiva espressione del sentire collettivo, troppo bloccati entro un regolamento che li ingabbia in una funzione di pura cinghia di trasmissione di istanze circoscritte, orfane di una visione politica di riferimento. In tutto ciò evidentemente la “crisi dei partiti” degli ultimi anni gioca un ruolo fondamentale.

In particolare, di fronte a vicende passate così intensamente vissute ed a una fase storica dello spessore descritto, paiono a Panighetti poca cosa le scarne pagine in cui si articola il vigente regolamento dei CdQ oggi in carica, ove si legge, tra l’altro che:

“i Consigli di quartiere, sono organismi volti a favorire la partecipazione civica e la consultazione su materie di interesse del quartiere.

Ai Consigli di quartiere spettano funzioni consultive sulle scelte di programmazione comunale e sui servizi di competenza comunale di rilevanza di quartiere, nonché funzioni di promozione di cittadinanza attiva e responsabilità sociale, come anche il miglioramento della qualità della vita e l’attivazione di percorsi di coe- sione sociale.

I Consigli di quartiere svolgono un ruolo propositivo, di analisi e di individuazione delle diverse problematiche presenti a livello di quartiere”.

Lessico e contenuti che appaiono all’autore piuttosto asettici, scarsamente indicativi di una concreta volontà di far sì che la popolazione possa, attraverso i CdQ,  effettivamente sentirsi parte attiva delle decisioni cruciali dell’Amministrazione. Questo potrebbe spiegare, forse, la scarsa partecipazione di potenziali candidati alle ultime elezioni di questi organismi, candidati il cui reclutamento è stato faticoso quasi ovunque, impossibile in un paio di casi, e l’affluenza alle urne veramente bassissima.

Come spiegarsi questo quadro?

La discussione è stata interessante, le ipotesi, formulate sia dall’autore, sia dagli assessori e dai rappresentanti dei CdQ presenti, paiono essere approdate ad una sintesi così riassumibile: da un lato pesa l’ormai scarso appeal, nella vita dei cittadini, dei Partiti Politici e dei Sindacati, i quali invece, nel trentennio narrato da Panighetti, sapevano, nel bene e nel male, fornire strumenti interpretativi della realtà ed un bagaglio ideale a supporto di rivendicazioni e impegno civile della cittadinanza; dall’altro lato la trasformazione della società e la svolta tecnologica in tempo di globalizzazione,  hanno generato una diversa percezione del rapporto tra cittadini ed Istituzioni, quest’ultime spesso più subite che avvertite come espressione stessa dell’esercizio di cittadinanza attiva. Esempi poco virtuosi di gestione della “cosa pubblica” hanno naturalmente esacerbato negli ultimi decenni il rifiuto, o per lo meno lo scetticismo e l’indifferenza di molti nei confronti della “politica” e  dei suoi rappresentanti. Termini come “fiducia” e “responsabilità” appaiono utopistici retaggi di un “buon tempo andato” lontano dalla prassi politica attuale.

Il quadro non pare incoraggiante, a meno di ripartire attingendo, per un recupero di fiducioso attivismo “dal basso”, all’universo di associazionismo e movimentismo spontaneo che, in questi ultimi anni, almeno in tema di ambiente e diritti, mostra nuovi volti e nuove strategie, libere da vecchie impalcature, me attive nel costruire nuovi spunti di aggregazione, soprattutto giovanile.

Non si tratta di andare lontano, ma di attingere a piene mani, in maniera consapevole e nuovamente autentica, alla nostra Costituzione: e i Consigli di Quartiere possono svolgere, ed in realtà spesso già svolgono, pur tra mille difficoltà, un ruolo in questo processo, creando contatti e garantendo la circolazione delle idee, oltre che sollecitare il soddisfacimento di piccoli e grandi bisogni.

ARTICOLO A CURA DEL GRUPPO G9

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