di LAURA GIUFFREDI – A vent’anni dalla morte, è allestita all’AR&F (Associazione artistica e culturale Emilio Rizzi e Giobatta Ferrari, a Brescia in piazza Loggia 11/F) la mostra Enrico Ragni. 1910-2002. L’eccezione alla regola (fino al 3 aprile).
Ragni (1910-2002) fu pittore bresciano vicino alle correnti artistiche d’avanguardia, in particolare del secondo ‘900, immerso nel vivace clima culturale italiano ed europeo di allora, ma sempre con piglio autonomo.
La piccola, ma densa esposizione segue altre mostre dedicate all’artista: nel 2003 a Desenzano, nel 2010 sempre all’Ar&f e nel 2011 ad Iseo.
L’allestimento lascia ben intuire la variegata ricerca dell’artista, che esprime una naturale evoluzione nella scelta dei motivi formali di volta in volta dominanti.
Attraversò con passione la scena artistica, inserendosi nella dicotomia tra “figurazione” e “astrazione”, ma è comunque impossibile inquadrare Ragni con una facile etichetta.
La moglie pittrice, Pier Carla Reghenzi, in arte Pierca, dopo la morte del marito ha donato all’Ar&f un prezioso fondo che l’associazione cataloga e studia dal 2002, nel segno della propria costante finalità educativa. Il “Fondo Enrico Ragni” è costituito da carteggio, archivio fotografico e altri materiali d’artista che negli anni hanno rivelato sempre meglio il percorso artistico e di vita di un pittore aperto a soluzioni sempre nuove e personali, in contatto con artisti tra i più innovatori, da Vedova a Morlotti, da Santomaso a Birolli, ma anche con i musicisti bresciani (Camillo Togni, Giancarlo Facchinetti), studiando le loro sperimentazioni e “dissonanze” dodecafoniche, la cui eco riscontriamo nelle sue opere più recenti.
Il primo tratto della mostra vede esposti dipinti che propongono il tema, amatissimo, del mare: in “Sub in immersione” (1950), due corpi maschili, in un chiasmo di azzurre diagonali, si distendono nell’acqua avvitandosi in risalita. Ma la rappresentazione figurativa è presto abbandonata e i “Ritmi del mare”, del 1956, suggeriscono il movimento delle onde con larghe pennellate nell’ampia gamma dei blu, in una composizione già informale.
Negli stessi anni (1955-58) il soggetto (“Stromboli”) si apre al grande formato: mare e terra si intersecano in bagliori ove l’equilibrio compositivo vede l’intersezione di colori caldi e freddi, terra e fuoco, aria e acqua; ma, ancor di più, il paesaggio è ormai soprattutto interiore.
E la libertà espressiva guadagna terreno nel tris di piccole tele intitolate “Spagna” (1961), dove i turbolenti colori mediterranei suggeriscono calore, vento, movimento di corride.
Anche alcuni soggetti quasi monocromatici degli stessi anni (“Orchestrazione pittorica” e “Pozzo del vento”), suggeriscono l’idea di vorticoso movimento e il contrappunto musicale, con grande libertà del gesto segnico, in questo caso sulla tavola; libertà non frequente, anzi rara, nell’ambito bresciano di allora, in gran parte ancora legato al naturalismo accademico tradizionale, percepito da Ragni, salvo poche eccezioni, come chiuso e provinciale.
Nei successivi anni ’60, Ragni arriva alla semplificazione definitiva del suo approccio, con un repertorio di geometrie (l’ellisse, soprattutto, e fulminee diagonali) in tensioni centrifughe dalla decisa vitalità.
Tutto un lavoro che vede il nostro autore muoversi tra i “gruppi”di pittori che movimentano la scena artistica (Fronte nuovo delle arti, Gruppo degli otto, Ultimi naturalisti), mantenendo egli sempre, però, una posizione autonoma, tangenziale e non inclusa, appunto “eccezionale”.
Gli anni ’70 (nella seconda sala della mostra), aprono a nuove sperimentazioni ed a nuove “eccezioni”, col prevalere di geometrie disciplinate, a spartire la tela entro settori rigorosamente tracciati: la natura ancora per un po’ fornisce il motivo ispiratore, evocato dai titoli, ma si giunge rapidamente a “Spiritualità dell’immagine” (1975), ove le forme sono contorni di ellissi leggere su uniformi campiture; o a “Inizio d’estate” (1976-84) che interseca brillanti stesure a contrasto, a suggere il farsi largo di un pallido sole.
In chiusura del percorso, ci osservano dalla tela gli autoritratti dell’autore e della moglie Pierca, per la quale a sua volta, ed a maggior ragione, l’eccezione alla regola si fece arte.
Ma questa è una storia che merita un nuovo, proprio spazio, non secondario, di studio e valorizzazione, dopo la mostra del 2016, a lei dedicata, sempre all’Ar&f.
ARTICOLO A CURA DEL GRUPPO G9
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