Ambiente, politica, crisi. Le parole del vescovo Monari nella messa del giorno di Natale

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Di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata dal vescovo Luciano Monari nella messa del giorno di Natale.

ECCO IL TESTO: 

Il prologo del vangelo secondo Giovanni termina con un ultimo versetto che dice: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.” Dietro a queste parole sta, non espressa, la convinzione che ‘vedere Dio’ sia un’esperienza arricchente per l’uomo, tanto che l’uomo non può non desiderarla. Dio è per definizione bene senza mescolanza di male, verità senza confusione di menzogna e di errore, unità senza germe alcuno di divisione; conoscere Dio, vedere Dio significa giungere a conoscere la sorgente di ogni valore, cioè di tutto quanto l’uomo può desiderare; e significa avere un criterio per mettere in ordine i valori, quelli più importanti e quelli meno importanti, ciascuno al suo giusto posto. Insomma, non si tratta solo di desiderare un’esperienza mistica che eleva l’uomo al di sopra di se stesso; si tratta di avere in Dio una luce che permette di conoscere e valutare il bene, quindi di fare delle scelte corrette, non casuali o episodiche o egoiste.

Per questo l’affermazione che “Dio nessuno l’ha mai visto” potrebbe suggerire un senso di delusione, come se l’uomo, pur desiderandolo, non riuscisse a innalzarsi a questo livello di conoscenza. Ignorare Dio significa essere incapaci di valutare in modo coerente le proprie scelte; significa essere lasciati in preda dell’interesse immediato. “Fammi vedere la tua Gloria” aveva chiesto Mosè a Dio; aveva davanti a sé il cammino attraverso il deserto con tutti i pericoli, i disagi, le incertezze inevitabili. Avesse potuto vedere la gloria di Dio, il deserto sarebbe diventato un giardino, la direzione giusta di marcia sarebbe apparsa chiarezza, il coraggio necessario per andare avanti non sarebbe mancato. A Mosè Dio aveva mostrato solo un piccolo frammento della sua presenza, si era mostrato ‘di spalle,’ non di faccia.

Ma adesso, dice Giovanni, quello che era stato negato a Mosè ci è stato donato in Cristo: “Il Figlio unigenito, che è Dio nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.” Gesù risorto vive per sempre in Dio e vive rivolto eternamente all’amore del Padre, come Figlio che ha col Padre un rapporto di intimità piena, uno scambio d’amore senza riserve. È come se Gesù Risorto, nella sua umanità, fosse uno specchio nel quale si riflettono in modo vivace tutte le perfezioni di Dio – la sua santità e la sua forza, la sua verità e la sua grazia. Ma questo Gesù che vive col Padre e per il Padre non è diverso dal Gesù terreno che lavorava con le sue mani a Nazaret e che predicava sulla riva del lago di Genezaret. È lo stesso Gesù che ha iniziato in mezzo a noi un cammino di crescita umana e lo ha portato a compimento nella gloria di Dio.

Ora, il Cristo risorto è al di là dei nostri sensi; non riusciamo a vederlo o udirlo. Ma il Cristo terreno, no, il Cristo terreno ha parlato una lingua umana, l’aramaico; ha compiuto azioni umane che i testimoni hanno potuto vedere, ha amato persone umane concrete, ha sofferto ed è morto come uno di noi. Questo Gesù lo possiamo raggiungere attraverso la testimonianza dei discepoli; e questo Gesù non è diverso dal Figlio che sta accanto al Padre. Per questo vedendo il Gesù terreno possiamo vedere il volto del Padre. Siccome Gesù è vivo e siccome tutta la sua esistenza terrena è viva in Lui, ci è possibile vivere nel mondo tenendo aperto lo sguardo e il desiderio al Signore risorto. Ascoltando le parole che egli ha predicato sulla terra, stabiliamo un contatto attuale con lui che è nei cieli; contemplando i miracoli, sintonizziamo la nostra vita sulla sua potenza attuale e sul suo amore; meditando la passione, comprendiamo il paradosso del suo amore costante in mezzo all’ingiustizia e al tradimento. E allora Gesù diventa per noi l’incarnazione di tutti i valori, la sorgente, il criterio del bene che siamo chiamati a compiere.

Il cristianesimo non ha come riferimento essenziale un principio metafisico o una serie di precetti morali o una visione utopica dell’uomo. Il cristianesimo riconosce in un volto umano concreto, quello di Gesù, il volto stesso di Dio e si propone di operare la trasfigurazione di ogni volto umano perché diventi simile al volto di Cristo. Quello che chiamiamo ‘il volto di Cristo’ lo potremmo definire così: un volto filiale nei confronti di Dio, un volto fraterno nei confronti degli altri, un volto responsabile nei confronti del mondo materiale. Diventare cristiani è un processo continuo che non ha termine sulla terra e che tende a suscitare nella coscienza umana una fiducia radicale in Dio tanto da avere più fiducia in Dio di quanto si abbia paura della morte; tanto che il desiderio di piacere a Dio diventi la motivazione sempre più consapevole delle proprie scelte. Vuol dire poi imparare ad amare il prossimo come noi stessi, a prendersi cura della vita e del bene degli altri con la premura con cui ci prendiamo cura di noi e del nostro bene; anche questo è un processo che non ha fine perché tende a produrre l’amore oblativo, cioè l’amore che sa sacrificarsi per il bene degli altri – come accade, ad esempio, spesso nel vissuto di una madre nei confronti dei suoi figli. Vuol dire, infine, diventare responsabili dell’ambiente materiale in cui viviamo; non deifichiamo affatto la natura, nemmeno rifiutiamo l’azione di trasformazione dell’uomo sull’ambiente; anzi, siamo convinti che l’uomo debba agire sull’ambiente, ma responsabilmente, in modo da renderlo più umano, più favorevole all’esistenza dell’uomo e quindi rispettoso delle diverse creature.

Quale sarà il futuro del mondo, non lo sappiamo. Ma sappiamo che dipenderà dalle scelte sagge o stupide dell’uomo, dal suo egoismo o dal suo amore, dalla sua diffidenza o dalla sua fede. Cristo è uno stimolo ad agire, a cercare il bene creativamente, a impegnare la propria esistenza con dedizione. Non è un messaggio scontato nei suoi risultati. San Giovanni scrive realisticamente che “Il mondo è stato fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.” Sembra stupito, Giovanni, di questa scarsa accoglienza che Gesù ha avuto tra gli uomini. Fosse stato un estraneo, lo si sarebbe capito; ma la sua persona era iscritta nel profondo della realtà del mondo, era fatto della nostra stessa carne. Nel vangelo Giovanni cercherà di spiegare questo rifiuto attribuendolo alla condizione di tenebra in cui l’uomo spesso vive e dalla quale non è disposto a uscire. Qui preferisce passare all’altra affermazione, positiva: “A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo ma da Dio sono stati generati.”

C’è una generazione ‘dal mondo’ che produce nell’uomo un comportamento mondano, che tende cioè al successo nel mondo. Questa generazione mondana produce orgoglio, egoismo, avidità, corruzione, falsità: tutta una serie di comportamenti che sembrano garantire la felicità e il successo e che invece producono un progressivo degrado personale. Ma c’è una generazione che viene dall’amore di Dio e che produce autentici figli di Dio nel senso che abbiamo ricordato. L’immagine del figlio di Dio è un’immagine ‘aperta’; non si possono definire a priori tutti i suoi contenuti: che cosa significhi fidarsi di Dio come figli lo si impara vivendo, a contatto con situazioni sempre nuove; a volte si verificano crisi che ci costringono a vedere in modo nuovo il rapporto con Dio e bisogna essere attenti a cogliere il messaggio presente in queste crisi. Nello stesso modo chi può sapere in modo completo che cosa comporti l’amore del prossimo? Alcune cose sono evidenti; ma le esigenze più significative nascono dal cuore di un’esperienza mutevole e non sono determinabili a priori. Che cosa significa per un imprenditore ‘amare’ in un contesto di crisi e di recessione come quello che stiamo vivendo? Chi può dirlo se non l’imprenditore stesso, se ha intelligenza e cuore buono? E che cosa significa ‘amare’ il prossimo per un politico che deve prendere decisioni in vista del bene di tutti?

Insomma, l’essere generati da Dio ci abilità non solo a fare la volontà di Dio ma a comprenderla attraverso lo studio, la riflessione, il confronto, la critica e l’autocritica. Se riusciamo a muoverci in questa direzione si aprono davanti a noi prospettive straordinarie di crescita e di trasformazione. Dio ci ha dato il potere non di ‘essere’ ma di ‘diventare’ suoi figli; certo, possiamo diventare figli perché lo siamo, ma l’unico modo reale di esserlo è cercare di diventarlo ogni giorno di più, ogni giorno assumendo lineamenti nuovi che ci avvicinino a Dio, in Gesù Cristo, nostro Signore.

25 Dicembre 2011

Messa del giorno di Natale – Chiesa Cattedrale di Brescia

Omelia del vescovo Luciano Monari

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