La Procura di Brescia ha messo a segno due colpi a suo favore che potrebbero pesare nel processo d’appello per la strage di piazza Loggia che inizierà il prossimo 14 febbraio. Il primo riguarda l’attendibilità di Carlo Digilio: armiere di Ordine Nuovo, ex agente della Cia e infine “pentito”, Digilio – morto nel 2005 – parlò di alcuni casolari n cui l’organizzazione neofascista conservava armi ed esplosivo. Finora però di quei casolari non vi era traccia. Ora la Procura è convinta di aver individuato quello di Paese, nel Trevigiano, nel quale Giovanni Ventura teneva il suo arsenale.
Il secondo colpo riguarda le “veline” di Maurizio Tramonte, nel 1974 informatore del Sid di Padova e oggi tra i cinque imputati. Secondo la Procura i servizi segreti avrebbero postdatato al 6 luglio 1974 un’informativa decisiva, quella dove si racconta di un incontro avvenuto ad Abano Terme il 25 maggio 1974 e durante il quale sarebbe stata pianificata la strage. Il maresciallo Felli, che nel 1974 gestiva la “fonte Tritone”, vale a dire Tramonte, lo scorso 4 gennaio avrebbe riconosciuto la falsità della datazione, dovuta all’intervento del capo della sezione Padova dei servizi. Un modo per rendere “inutile” la velina ai fini della prevenzione della strage. Felli avrebbe reso anche importanti dichiarazioni sulla presenza di Tramonte alla riunione durante la quale il leader di Ordine Nuovo del triveneto Carlo Maria Maggi avrebbe organizzato l’attentato di tre giorni dopo.
Questi – e altri elementi – hanno dunque spinto la Procura a chiedere di riaprire il dibattimento in modo da acquisire i nuovi documenti e sentire nuovi testi.
Si cominciano finalmente a scoprire le tane dei topi di fogna……