Il Brescia: piena fiducia al ds Iaconi

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Con una nota il Brescia ribadisce il pieno sostegno al direttore sportivo Andrea Iaconi, coinvolto nell’indagini sul Calcioscommesse, sottolineando che “il suo coinvolgimento nelle inchieste ha avuto un risalto mediatico sproporzionato rispetto alla rilevanza, quantomeno morale, dei fatti addebitati”.

ECCO IL TESTO DEL COMUNICATO

Il Brescia Calcio è impegnato nella programmazione della propria attività nel breve e nel medio periodo per consolidare una gestione virtuosa e snella e per continuare a promuovere il patrimonio di valori tecnici e sociali che ne caratterizzano la storia centenaria. Per quanto mostrato nel corso di questa stagione, in termini di competenze manageriali e di dedizione alla causa societaria, il Brescia Calcio ribadisce che Andrea Iaconi è la figura perno di questo progetto. Per tale ragione ha ritenuto di confermare stima e fiducia nel suo operato, nella piena consapevolezza che il suo coinvolgimento nelle inchieste della magistratura sportiva e ordinaria che riguardano il mondo del calcio, ha avuto un risalto mediatico sproporzionato rispetto alla rilevanza, quantomeno morale, dei fatti addebitati.
La società è totalmente fiduciosa che attraverso i diversi gradi di giudizio emergerà la totale estraneità di Andrea Iaconi verso l’aspetto più riprovevole dei fatti in corso di accertamento, cioè l’attività illecita di combine di gare in spregio agli interessi della propria società, per trarre profitti indebiti dalle scommesse. I nostri tifosi e sostenitori, la città, gli operatori della comunicazione possono essere sereni e fiduciosi che la nostra scelta è stata ben ponderata e assunta nella piena consapevolezza che, qualunque verdetto degli organi di giustizia, non impedirà al nostro Direttore di continuare ad assicurare, nel pieno rispetto dei regolamenti, il suo contributo fattivo e competente per la crescita del Brescia Calcio. Quel contributo che tutto l’ambiente ha già apprezzato e stimato nel suo primo anno di lavoro per la Società.

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1 COMMENT

  1. Posto che sia vero il fatto che Iaconi ha ammesso di aver preso parte alla combine di Ancona-Grosseto, credo che l’atteggiamento di questa ridicola società sia vergognoso…..quand o sembra che si tocchi il fondo ci si impegna con ogni mezzo per finire ancora più in basso. Confermare la fiducia a chi, per sua stessa ammissione ha confezionato un bel biscottone è un gesto che denota assoluta mancanza di etica sportiva, come sempre questa dirigienza non perde occasione per farsi ridere dietro! BUFFONI!!!!!

  2. Complimenti ancora a Corioni. Ha un certo fiuto nella scelta dei suoi collaboratori!!!!!! E offre loro anche un bel contratto!!!
    Davver o una bella faccia tosta!

  3. …oltre alla questione di etica personale, pare dalle ultime notizie che pure jonathas sia ormai già venduto alla sampdoria….., non c’è che dire questo jaconi ha fatto molto per il brescia……si, lo ha smantellato del tutto, rimpinguando le casse e le panze della società familiare che ormai si sa di brescia campa ( e bene ) da decenni…..! calori l’anno prossimo dovrà far giocare i ragazzini e valorizzare a costo retrocessione ovviamente, qualche giovane in modo poi da svenderlo già a gennaio e così via, comperando intanto sul mercato dei derelitti quegli scarti che servono a fare solamente numero e tirare a campare e via così come ormai da decenni è il " progetto brescia "………….
    soci età del fil de fer, spero sempre nella lega pro in modo che i corioni’s se ne vadano una volta per tutte !

  4. dove sono gli adulatori della family Corioni….bravi bravi continuiamo così…ma i nodi prima o poi vengono al pettine…andatevene scio vattinne

  5. Mahmoud Sarsak ha 25 anni, è una giovane promessa del calcio palestinese. Dalla Striscia di Gaza, dove è cresciuto, cercava di raggiungere la Cisgiordania e la sua Nazionale per rincorrere un pallone e, insieme, il sogno di rappresentare il suo paese con il calcio. È stato arrestato nel giugno del 2009 e da 3 anni si trova in un carcere israeliano senza accuse ne’ processo. Dopo 81 giorni di sciopero della fame il suo sogno e la sua vita stanno per finire.

    Il suo nome è Mahmoud Sarsak, e la sua storia è un paradigma. Ha 25 anni, è un calciatore della Nazionale Palestinese.

    Una giovane promessa del calcio perché, giovanissimo, ha iniziato ad allenarsi in uno dei luoghi più disagiati del mondo: il campo profughi di Rafah, a sud di una Striscia di Gaza da anni sotto assedio, tra raid aerei e bombardamenti.

    Racconta il fratello Emad che Mahmoud avesse la stoffa per diventare un campione, e che il primo passo “verso il gol della sua vita” fosse quello di uscire dal ghetto di Gaza e raggiungere i suoi compagni di squadra in Cisgiordania.

    La Nazionale Palestinese, primo importante traguardo verso il sogno di giocare in una squadra internazionale, per portare nel mondo quella Palestina non riconosciuta, per rappresentare il suo paese rincorrendo un pallone e, insieme, un ideale di giustizia e libertà.

    La sua storia è un paradigma, perché è quella di tanti ragazzi cresciuti a Gaza che resistono semplicemente continuando a esistere, cercando con ogni linguaggio possibile di raccontare la Palestina e difenderla da chi tenta di cancellarla. Indossando una maglia, magari, o sventolando una bandiera, simboli che almeno nel mondo dello sport dovrebbero poter trovare cittadinanza.

    Aveva la stoffa per essere un campione, e anche il fisico adeguato, 50 kg fa. Prima di passare dal carcere a cielo aperto di Gaza a quello, in cemento armato, di Ramleh, in Israele.

    Il 22 giugno 2009, con le sue valige, Mahmoud Sarsak si dirigeva al valico di Erez, unica porta che collega Gaza ai Territori Palestinesi Occupati, sigillata da Israele. Unico passaggio diretto possibile verso il suo sogno, che si è aperto per portarlo invece verso un’altra prigionia.

    Slegato da gruppi, partiti e fazioni politiche, credeva di non avere niente da temere da quei soldati che controllano il valico. Invece è stato arrestato, condotto del carcere di Ramleh dove, da allora, non è mai potuto uscire.

    Le accuse? Ignote. In 3 anni Mahmoud non le ha mai conosciute, e non ha mai affrontato nessun tipo di processo.

    Se per i palestinesi della Cisgiordania è infatti in vigore il regime – illegale – della detenzione amministrativa, in base alla quale Israele può detenerli a tempo indeterminato senza accuse specifiche ne’ processo, per i cittadini di Gaza esiste un valido parallelo: è la “Unlawful Combatant Law” (Legge sui Combattenti Illegali), strumento che consente ad Israele di imprigionarli alle stesse condizioni. Tempo indeterminato, fine pena potenzialmente mai.

    Mahmoud, come molti altri prigionieri prima di lui, 81 giorni fa è entrato in sciopero della fame. Una protesta – l’unica possibile – che lo sta uccidendo. E, con lui, il miraggio di una giovane promessa del calcio di poter inseguire il suo pallone e il suo sogno.

    Spiega il legale, Mohammed Jabarin, che il termine per il suo arresto è stabilito al 22 agosto prossimo. Ma non ci sono garanzie che le autorità israeliane non lo rinnovino di altri 6 mesi, come hanno sempre fatto nel corso di questi 3 anni.

    Con lui tanti altri, che solo il 14 maggio scorso avevano siglato un accordo – già ripetutamente violato da Israele – per il miglioramento delle condizioni cui sono sottoposti i prigionieri politici palestinesi. Anche Akram Rikhawi, con cui Mahmoud ha firmato l’appello al governo palestinese e alla comunità internazionale perché agiscano, e non aspettino “di vederci morire”.

    Il 5 giugno scorso alcuni attivisti francesi, in sostegno alla battaglia di Mahmoud, hanno simbolicamente occupato la sede della Federazione di calcio francese.

    Come spesso accade, è stato risposto loro di andare a protestare in "altra sede". Un “passaggio palla” ben noto agli attivisti internazionali che si battono per i diritti del popolo palestinese, in una partita ad armi impari che vede sempre il più forte segnare.

    La storia di Mahmoud è un paradigma soprattutto perché non fa notizia. Se il club per il quale gioca fosse una squadra quotata, sostenuta da migliaia di tifosi; se Sarsak fosse una delle tante super-star calcistiche mondiali, se non fosse palestinese, se non fosse stato arrestato da Israele, la sua sarebbe una notizia da prima pagina.

    Mahmoud è un giovane calciatore che sta giocando la partita della vita con uno sciopero della fame che lo ucciderà nel silenzio internazionale. Una promessa cui è stato vietato di segnare, di giocare, di sognare.

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