Il fenomeno del trading on line sta prendendo sempre più piede anche in Italia. Sono sempre di più, infatti, i risparmiatori che – spesso, purtroppo, senza avere adeguate conoscenze in campo finanziario – decidono di rinunciare a qualsiasi forma di intermediazione fisica (che siano le banche o singoli operatori) per gestire direttamente i propri investimenti economici attraverso il web. Farlo, del resto, è ormai semplicissimo: basta andare su una qualsiasi piattaforma di brokeraggio autorizzata da un’autorità dell’Unione Europea e registrarsi fornendo i propri dati (con un documento) e compilando un questionario obbligatorio relativo al proprio profilo di rischio.
Il trading on line, per dirla in maniera semplice, consente di effettuare “direttamente” le operazioni di compravendita di azioni, obbligazioni e titoli finanziari di diversa natura, oltre che – nella maggioranza dei casi – di accedere a mercati non regolamentati (e quindi molto rischiosi) come quelli delle criptovalute.
Ma chi lo fa – secondo gli esperti di guidatradingonline.net – molto spesso non è pienamente consapevole dello strumento (per fare un esempio: esistono prodotti a leva che possono far perdere in pochi istanti tutto il capitale o addirittura x volte il capitale che si è investito), né degli obblighi giuridici e fiscali collegati alla propria attività. Il fatto di agire su internet, infatti, non esime gli investitori dal vincolo di pagare le tasse. Ma di cosa parliamo concretamente? Quale è il trattamento fiscale del trading online?
IL TRATTAMENTO FISCALE NEL TRADING ON LINE
Il trattamento fiscale del trading on line non è un fattore secondario, per due motivi. Il primo è che – come ovvio – bisogna pagare le tasse correttamente per non rischiare di incorrere in sanzioni. Il secondo, forse ancora meno considerato, è che quanto si paga allo Stato va sottratto dai propri guadagni e dunque tenuto in considerazione nel calcolo sulla profittabilità degli investimenti.