Secondo le stime della Regione, agli ospedali lombardi servirebbero centinaia di migliaia al giorno. Ma non ce ne sono a sufficienza. Eppure un metodo per riutilizzarle esiste già: è semplice, alla portata di tutti e validato dalla comunità scientifica, oltre che dal ministero della Salute italiano e dagli omologhi francese e americano. E – secondo alcuni calcoli non ufficiali – con una normale sterilizzatrice a secco professionale e certificata per il controllo della temperatura si possono riattivare circa 2.500 mascherine ogni 24 ore di attività.
A seguito dell’articolo scritto su BsNews dall’esperto Giorgio Taglietti (ex responsabile del Servizio di prevenzione e protezione dell’allora Asl) – in cui si spiegavano ai lettori le pratiche corrette legate all’acquisto e all’utilizzo quotidiano delle mascherine contro il Coronavirus – sono seguiti, infatti, diversi contatti tra Taglietti, il dottor Alessandro Schiavetta (medico ligure), la professoressa Marina Alloisio (dipartimento di Chimica Università di Genova) e il dottor Fabio Caocci di Genova sul tema della sterilizzazione dei facciali filtranti FFP2 e FFP3.
Dalle loro ricerche è emersa l’esistenza di un documento ufficiale di Assosistema Safety, l’associazione dei produttori di Dpi associata a Condindustria, che collabora con Protezione Civile e Istituto Superiore di Sanità. Nel testo, Assosistema – citando diverse fonti ufficiali – illustra nel dettaglio la procedura per la bonifica dei filtri antipolvere e dei facciali filtranti utilizzati durante le attività che comportano esposizione a Covid-19.
La procedura – va precisato – si riferisce esclusivamente a Facciali filtranti conformi alla Norma UNI EN 149:2001+A1:2009 (in cui rientrano le mascherine FFP2 e FFP3, in dotazione agli ospedali) o a Filtri antipolvere conformi alla Norma UNI EN 143:2007 e consente il riutilizzo delle mascherine monouso “due o alcune volte in funzioni delle situazioni contingenti”. I facciali filtranti, inoltre, devono essere integri (anche negli elastici) e senza tracce organiche visibili e – dopo la sterilizzazione – vanno riconsegnati al soggetto che li aveva utilizzati in precedenza.
La bonifica consiste nel collocare i dispositivi (anche più di uno, ma separati anche da fogli di carta per non farli entrrare in contatto tra loro) in un vano riscaldato a 70° (+ 3) per 30 minuti in aria secca. Una temperatura che consente di uccidere il virus (il Coronavirus si inattiva a 56 gradi) senza alterare la composizione chimica dei materiali che compongono le mascherine.
I forni a microonde – precisa Assindustria – non sono assolutamente efficaci e i forni professionali debbono essere utilizzati solo in modalità ventilata e non debbono essere presenti resistenze a vista accese, che potrebbero dar luogo a concentrazioni di calore radiante e picchi di temperatura capaci di danneggiare i dispositivi in trattamento.
La procedura, lo ricordiamo, è riservata al personale tecnico degli ospedali ed è altamente sconsigliata ai cittadini. Inoltre non è utilizzabile nei forni domestici (anche quelli con possibilità di regolare la gradazione esatta) perché il rischio è quello di alterare la composizione dei materiali e di rendere le mascherine dannose per la salute, oltre che completamente inefficaci.
Qualunque struttura sanitaria (ospedali, cliniche, Rsa e via dicendo) che – in questo momento di grave emergenza – si trova a dover lottare con la carenza di mascherine può contattare l’ingegner Taglietti all’indirizzo email: [email protected] per riceveree ulteriori infromazioni sul tema o per ricevere copia del documento.
+++ aggiornamento ore 15.44: la Regione Ligura ha dato l’ok alla procedura +++
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