⚠️⚠️⚠️ CORONAVIRUS, attenzione: le mascherine filtranti non sono come le chirurgiche…

La distinzione potrebbe sembrare questione da esperti, ma in realtà parliamo di sostanza, perché le prime sono strumenti di protezione utili, ma comunque non esenti da rischi

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Mascherina, foto da Pixabay

Sapete la differenza tra mascherine filtranti e mascherine chirurgiche? La distinzione potrebbe sembrare questione da esperti, ma in realtà parliamo di sostanza, perché le prime sono strumenti di protezione utili, ma comunque non esenti da rischi e meno efficaci delle seconde.

Di seguito trovate il chiarimento sulla questione dell’ingegner Giorgio Taglietti, ex consigliere comunale di Brescia ed ex responsabile del Servizio di prevenzione e protezione dell’Asl (oggi Ats), che è messo disposizione dei nostri lettori per chiarire loro i dubbi sulle mascherie e tutti i dispositivi di protezione individuale. Per contattarlo direttamente, lo ricordiamo, è possibile scrivere all’indirizzo e-mail: [email protected].

MASCHERINE FILTRANTI SENZA MARCHIO CE

Il secondo comma dell’articolo 16 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n°18 recita:
2. Ai fini del comma 1, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, gli individui presenti sull’intero territorio nazionale sono autorizzati all’utilizzo di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio.”

Con tale comma viene, praticamente, introdotta una categoria speciale di presidi:
le “mascherine filtranti” destinate alla sola collettività e che, apparentemente, sembrano prive di alcuna regolamentazione

L’articolo 15 dello stesso Decreto, infatti, consente di derogare dalla normativa ordinaria solo a condizioni di attivare una procedura semplificata di validazione straordinaria per mezzo della quale il soggetto proponente deve autocertificare il rispetto di una serie di requisiti di sicurezza del prodotto e ottenere il parere favorevole dell’Istituto Superiore di Sanità (“ISS”) per le “mascherine chirurgiche” o dell’INAIL per i DPI in deroga.

Le mascherine filtranti per la collettività, di cui al secondo comma dell’articolo 16, invece, sono un “terzo tipo” di presidio e, come chiarito dalla circolare del Ministero della Salute
n° 0003572-P del 18 marzo 2020, possono essere utilizzate da parte di “tutti gli individui presenti sul territorio nazionale”, benché “prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio”.

Pertanto:

  • non sono soggette, dal punto di vista regolamentare, neppure alle procedure semplificate di valutazione e validazione straordinaria richieste dall’articolo 15 per le “mascherine chirurgiche” e i DPI senza marcatura CE;
  • nondevono essereconformi a particolari norme tecniche armonizzate UNI EN ISO.

Quest’ultimo profilo le rende nettamente distinte dalle “mascherine chirurgiche” prodotte ai sensi dell’articolo 15.
Sebbene siano anch’esse prive di marcatura CE e apparentemente simili nella struttura, le “mascherine chirurgiche” devono superare prove tecniche e test di laboratorio per dimostrare la conformità alle norme UNI EN 14683:2019 e UNI EN 10993-1:2009.

Inoltre, il produttore di MASCHERINE FILTRANTI PER LA COLLETTIVITÀ non deve aver implementato un sistema di gestione della qualità, come richiesto invece a chi voglia realizzare “mascherine chirurgiche”.

Si tratta di deroghe molto ampie, a carattere eccezionale, giustificate dalla natura straordinaria dell’emergenza sanitaria e dalla urgente domanda sul mercato dei presidi di protezione, di molto superiore al trend ordinario.

Non è detto, però, che anche questo “terzo tipo” di mascherine non sia soggetto a regole: devono, infatti, essere soddisfare alcuni requisiti.

  • non essendo “mascherine chirurgiche” ai sensi dell’articolo 15 del Decreto “Cura Italia”, le mascherine per la collettività non possono essere utilizzate durante il servizio da operatori sanitari in ambiente medico o assistenziale (ospedali, guardie mediche, RSA);
  • non essendo DPI, non possono essere utilizzate in ambienti di lavoro dove sia prescritto l’impiego di DPI.

Si tratta, quindi, di presidi con finalità precauzionale, limitati alla generica collettività; per cui, specie negli ambienti di lavoro e nei luoghi pubblici in cui ne sia consentito, o richiesto, l’impiego, deve essere rispettata la distanza di sicurezza interpersonale che, come raccomandato dalle autorità sanitarie e dai provvedimenti regionali, deve essere di circa 2 metri, salve le ulteriori misure di igiene e prevenzione raccomandate dalle autorità sanitarie.

Nulla vieta, tuttavia, di condurre test di tenuta e di efficacia filtrante: anche la Circolare 3572/2020 del Ministero della Salute prescrive ai produttori la “assoluta necessità” di garantire che tali mascherine “non arrechino danni o determinino rischi aggiuntivi per gli utilizzatori secondo la destinazione d’uso”.
Del resto, l’articolo 16 le definisce come “maschere filtranti”: è ragionevole, quindi, che debbano essere costruite, per lo meno, con strati di tessuto filtrante come polipropilene, TNT o cotone con trattamento antidroplet.

In tal senso, pur in assenza di indicazioni specifiche, in via facoltativa possono essere osservate le procedure e le indicazioni tecniche della norma UNI EN 14683:2009+AC.

Resta fermo che i test tecnici non sono obbligatori e, dunque, in ogni caso tali maschere possono essere destinate alla collettività, purché il tessuto utilizzato soddisfi requisiti minimi di sicurezza, in termini di sufficiente traspirabilità e idrorepellenza.

Infine, il sistema di produzione e utilizzo di tali presidi incontra un limite temporale:
esso vale solo per la durata dell’emergenza Covid-19, ossia fino al 31 luglio 2020, dopodiché, tornerà in vigore l’iter normativo e procedurale ordinario previsto per dispositivi medici e DPI con marcatura CE.

Etichetta e istruzioni di impiego

E’ inoltre fondamentale fornire agli utenti finali una corretta informazione circa la natura e le modalità di impiego delle mascherine per la collettività.

Quindi, l’imballaggio della mascherina (singolo o multiplo) deve riportare, o deve contenere, una scheda tecnica recante almeno le seguenti indicazioni:

  • ragione sociale e indirizzo del produttore;
  • riferimento al lotto e data di produzione;
  • la dicitura “Mascherina filtrante ad uso esclusivo della collettività. Non è un dispositivo medico, non è un DPI. Escluso l’uso sanitario o in ambienti di lavoro senza il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale”;
  • la precisazione “a uso singolo” o “riutilizzabile”, indicando con quale frequenza e modalità;
  • le istruzioni di impiego e di corretto smaltimento.

Può essere utile, inoltre, che il produttore renda noti gli eventuali test condotti (precisando le norme tecniche applicate) e specifichi, ove disponibile, il sistema di gestione della qualità implementato; questo anche per evidenziare gli standard di (maggior) sicurezza e qualità del prodotto.

In generale, qualsiasi impresa, anche se di recente “riconvertita”, nella misura in cui si presenta come “produttore”, è responsabile per le informazioni veicolate in merito all’impiego corretto e alla sicurezza del prodotto.

Diversamente, si potrebbe ingenerare negli utenti un affidamento sproporzionato rispetto alla effettiva capacità protettiva e alla destinazione d’uso del presidio, il che è tanto più grave a fronte dei seri rischi che possano derivare per la salute individuale e collettiva.
Tutto ciò avrebbe come conseguenza che il produttore potrebbe incorrere in problemi di natura legale ed essere chiamato a rispondere nelle opportune sedi giudiziali.

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