📕 Sveglia biologica | 📮 IL RACCONTO DELLA SETTIMANA/23

Salì di corsa sul treno prendendolo al volo: il solito interregionale delle 16,23 in partenza da Padova, il solito ultimo minuto

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Umberto Tanghetti, scrittore

SVEGLIA BIOLOGICA – racconto di Umberto Tanghetti

Salì di corsa sul treno prendendolo al volo: il solito interregionale delle 16,23 in partenza da Padova, il solito ultimo minuto.

Era il treno degli studenti che tornavano a casa per il fine settimana; viaggi della speranza che via via, col passar del tempo e della confidenza, si diradavano: una volta alla settimana, una ogni due e poi, quando andava bene, ci si assestava a una volta al mese.

Praticamente la posologia della vitamina d, solo che, ad averne beneficio, non erano le ossa, ma lo spirito, la pancia e anche il portafogli..

Necessità umane.

Il convoglio era pieno di valigie: all’andata, verso casa, stipate di calzini usati, al ritorno, la domenica, grandi fette di formaggio.

Non è detto che l’olfatto distinguesse senza dubbio un’andata da un ritorno..

Stessi afrori, ma diverse prospettive..

Quella volta il treno pareva nuovo, avrà avuto solo una ventina d’anni di servizio e la carrozza era quella  a vista con i posti raggruppati a quattro a quattro, davanti ai tavolini.

Salí trafelato, trovò posto a metà, buttò il borsone con i calzini usati sul mensolone sopra la sua testa e si sedette ansimando.

Il vagone ferroviario era il posto più scomodo in cui fosse in grado di dormire davvero: capitava che non vedesse nemmeno uscire il treno dalla stazione, con quel ninnar di scambi e sferragliate che parevano le braccia della mamma..

Dormiva della grossa e spesso si  perdeva anche l’ avvicinamento alle stazioni che incontrava;

per dire, San Bonifacio era rimasto più un santo che una fermata del treno; Vicenza talvolta la sentiva pronunciare, ma più come in un limbo, in un “sogno o son desto” e il più delle volte si rispondeva che stava sognando e che non valeva nemmeno la pena di appurare.

Verona era una certezza, un essere o non essere in mezzo al guado, ma il viaggio era ancora lungo e quindi, non tirava su nemmeno un sopracciglio.

La variabile che permetteva di distinguere due scuole di pensiero, era il controllore: meglio subito e ci si toglie il pensiero o più tardi e ci si rovina il sonnellino?

Che poi non era un vero e proprio rovinare: gli si dava il biglietto con un solo occhio aperto e dopo aver obliterato il tagliando, la palpebra si ributtava giù come la penna a scuola a sentir la campanella!

E qui è d’uopo una parentesi: obliterare è un verbo antico che va saputo usare ed una volta, gli capitò di assistere ad una scenetta forte, in stazione alla partenza.

Due amici un po’ ruspanti ed inesperti di viaggi in treno, avevano acquistato il biglietto e l’uno disse all’altro perentorio:

“Obla!”( intendeva oblitera, si pensa).

“Eh?!? – rispose – il tale.

E quello ancora: “Obla!!! Dai che arriva il treno!!”

L’altro, sempre più perplesso, se ne uscì con un  risolutivo:

“Sèt semo? Che vvel dì obla, brët diaol!”(Sei scemo?Cosa vuol dire obla, brutto diavolo!)

“Vel di de picà ‘l bigliét ndela macchinetta!

Dai che ria  ‘l treno!!” (Vuol dire di ficcare il biglietto nella macchinetta!! Dai che arriva il treno!). Parentesi finita.

Comunque, si diceva, l’attenzione cominciava a riaffiorare dopo Peschiera, quando il treno passa sul lungo ponte per poi arrivare a Desenzano e scollinare verso Brescia.

Quella volta una strana sensazione gli catturò il subconscio. Si potrebbe dire che ne invischiò l’essenza.

Stava dormendo rilassato, il controllore l’aveva salutato già a Vicenza e nel sogno, uno strano invaghimento di appiccicaticcio si impossessò dei suoi neuroni.

Era un sogno o era vero?

Dapprima ci si butta sempre sul più conveniente: pensava fosse un sogno che evolveva in sensazioni tattili evidenti, però perché mai scomodarsi?

“Continua pure a sonnecchiare, ottimizza il tempo!” si diceva inconsciamente.

Eppure cominciò a pensare alle lumache, quelle rosse senza guscio, che si allungano pian piano lasciando una scia assai limacciosa.

“Ma che sogno è mai questo!!” si diceva dal profondo e aprì un occhio.

Era appoggiato al bracciolo del sedile con il pugno sullo zigomo di destra, la mandibola allungata sulla sinistra e la bocca mezza aperta.

Si bagnò le labbra con la lingua e cominciò ad aprire bene gli occhi con una irrefrenabile voglia di stiracchiamento.

Ora, era successo che un rigagnolo di bava gli colasse dalla bocca e si infilasse lemme, lemme nella manica: era arrivato ormai ben oltre il polso!

Era quella la lumaca in allungamento di cui stava vaneggiando!

Prese un fazzoletto e si asciugò la scia, si stiracchiò e solo allora si accorse che la signora seduta a lui di fronte, lo guardava inorridita.

Si fermò, raccolse con lucidità le poche connessioni già deste e le disse:

“Signora, io lo so che cosa pensa!

Guarda un po’ ‘sto debosciato!

Guarda come si è ridotto!

Lo mandiamo a studiare che so, a Padova con mille sacrifici e lui che fa?

Perde tempo in Piazza dei Signori a bere il primo spritz e poi si sposta con tutta la combriccola in piazza della Frutta dove ne sorseggia un altro e poi seguendo un angolo ormai storto del Palazzo della Ragione, finisce in piazza delle Erbe: terzo giro!!

Magari poi si passa pure al Bo e alla pizzeria da asporto dietro al cantone, si prende una pizza alle verdure! E la si mangia bivaccando a parlar dei massimi sistemi!

E noi poveri genitori qui a pagare e a sudarci la pagnotta per cotanta perdizione!

E poi, ancora, mica è finita!!

Come se non bastasse, alla fin della serata, una ragazza le lascia pure il numero, così che possa esser richiamata!

Ai miei tempi, queste cose le lasciavamo fare a quelli che..non mi faccia dire!”

Ogni tanto la signora tentava di inserirsi, ma con troppa timidezza, lui era un fiume in piena!

E concluse la sua arringa dicendo:

“Ma qui son costretto a farle notare con quanta perizia la mia bava si sia infilata nella manica proprio qui dopo Desenzano!

Non a Verona o a San Bonifacio!

È questa la mia sveglia biologica che mi avverte che è ormai giunto il momento di smontare!

Questo è un gran vantaggio evolutivo, senza dubbio alcuno, mia cara!

Detto questo, io non fumo, non son proprio un delinquente!”

La signora, sorridente, disse invece:

“Guardi, giovanotto, ci deve essere un abbaglio;

volevo solo dirle che c’è un ragno che si allena all’arrampicata poco sopra la sua testa..”

“Ah, mi scusi signora, la ringrazio, ora mi organizzo e lo mando ad allenarsi fuori dal convoglio.”

Cordialmente salutò e recuperato dalla cappelliera il suo corredo con le ruote, si diresse verso la porta d’uscita; si era ormai prossimi alla stazion di Brescia, dove il treno rallenta in fase di avvicinamento alla fermata.

Aspettava nello spazio posto davanti al bagno, tra l’olezzo di campagna e della ritirata, dove una coppia avanti a lui stava litigando.

La fanciulla sentenziò: “Non capisci un cazzo, figa!”

Rimase esterrefatto: che sublime utilizzo di sineddoche!

Con due sole parti, aveva fatto il tutto!

Ripensando a quel numero di telefono si disse: “Magari aspetto un poco a richiamarla!”

Tramonto, foto generica da Pixabay UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?

UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?

Umberto Tanghetti, nato il primo ottobre 1977 ad Alcamo (Tp) da padre bovegnese e madre alcamese, cresce e vive a Concesio. Dopo la maturità classica al liceo Arnaldo di Brescia, prosegue gli studi a Padova, dove si laurea in chimica e tecnologia farmaceutiche.
Oggi lavora in farmacia a Brescia ed è tornato a vivere a Concesio.
“Non ho mai pubblicato per nessuno – scrive presentandosi – non ho miti letterari, ma grande stima per molti intellettuali: amo Calvino,i paesaggi di Čechov, la profondità di Dostoevskij… Ma se dovessi citarne solo uno citerei Primo Levi tirato dalla vita sui libri per testimoniare l’impossibile”.

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Ultimo aggiornamento il 3 Dicembre 2023 15:05

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