📕 Prospettiva | 📮 IL RACCONTO DELLA SETTIMANA/35

Passeggiando per il centro come non accadeva ormai da tempo, incontrò un suo vecchio amico: pur avendo entrambi la mascherina per tenere fuori il covid, il cappello in testa e gli occhiali, quasi fossero i Virus Brothers in missione per conto di Dio, lo riconobbe al volo, avendo quello un' andatura inconfondibile.

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Umberto Tanghetti, scrittore

PROSPETTIVA – racconto di Umberto Tanghetti

Passeggiando per il centro come non accadeva ormai da tempo, incontrò un suo vecchio amico: pur avendo entrambi la mascherina per tenere fuori il covid, il cappello in testa e gli occhiali, quasi fossero i Virus Brothers in missione per conto di Dio, lo riconobbe al volo, avendo quello un’ andatura inconfondibile.

Camminava senza muovere le braccia, lasciandole cadere lungo il corpo, come ad avere una paresi e quelle rimbalzavano un pochetto, un passo dietro l’altro: piccoli sobbalzi disanimati dettati da una pigrizia atavica tipica della sua famiglia.

Aveva anche le spalle un tantino ricurve, proiettate sul davanti, con le scapole che si toccavano dietro la schiena, nella parte alta, verso la cervicale, lanciando la volata ad una lunga lista di cose che si sarebbero potute dire e fare per preservare le sue terga dall’ usura del tempo.

Ecco, lui, di quelle cose della lista, non ne faceva neanche una, ma viveva sereno la sua postura politicamente scorretta e le reprimenda di chi la sapeva lunga, gli destavano l’ interesse che avrebbe potuto suscitare il sapere se la regina Elisabetta usa i mutandoni di lana o di cotone.

Zero, of corse.

A dire il vero, non eran proprio amici, lo erano stati forse un tempo, quando le vicende della vita ne avevano incrociato i percorsi, ma cambiato il contesto e cambiate le abitudini, si erano persi di vista senza sentire la necessità di rinverdire quel rapporto che era stato si sincero, ma finito, diventato asfittico.

Come quel posto in Bangladesh dove le vecchie navi mercantili vengono lanciate verso la costa sabbiosa  per farle arenare a riva e poi smontarle pezzo a pezzo a mani nude, sfruttando maestranze sottopagate.

Gli ricordavan, quelle navi, certe amicizie incagliate placidamente, d’inerzia, sul bagnasciuga dei ricordi e svitate un poco alla volta, fino a farne una carcassa da cui recuperare pezzi.

Immagini di cui nutrirsi, esperienze di cui tenere conto, ma ormai perse nella loro completezza.

Capita.

Proprio come, al contrario, capita di rincontrarsi e di ricominciare da quella remota spiaggia in cui, di rado, ci si ritrova a passare nuovamente.

Tant’ è, lo riconobbe al volo, sebbene fossero oramai a mezza via, non più giovani e non ancora vecchi in un’ età che, un tempo, non si esitava a definire adulta da ben più di una decade e che, ora, si continuava a liquidare con un “sono ragazzi”.

Gli si mise accanto camminando lungo il corso come se nulla fosse, come a ricominciare da dove avevano lasciato e quello non ne fu stupito, colse anch’ egli quell’ approccio naturale e parlando del più e del meno, arrivarono in una zona del centro in cui si stupivano di non riuscire più a dare

un’ età alle persone che erano intente a bere aperitivi.

C’ erano i “forse giovani”  che, in realtà ormai tardo adolescenti, parevano trentenni navigati e c’erano i “forse vecchi” che, quasi cinquantenni, parevano tardo-adolescenti..

” E noi? ” si chiesero.

” Noi.. niente, quasi cinquantenni, con il volto che parla e nel tuo caso, parla pure la schiena! ”

Cominciarono a spaziare, ora che anche loro potevano innaffiare l’eloquio con un pirlo al Campari bello grosso a recuperare quelli persi per la quarantena:

“Te lo ricordi quello che cantava dal basso verso l’alto, perché così d’infilata, gli si allungava la prospettiva?

Ché se fai al contrario, dall’alto verso il basso, tutto ti si tronca in modo brutale..

Bam!

Finisce lì.

Per dire, cantò di uno che aveva pestato una merda, ma ti pare?

Una merda bella grossa, di quelle il cui odore non ti abbandona, quelle che ti rimangono incollate alla suola e anche se trascini il piede con intento liberatorio, niente, restan lì a farti compagnia.

Com’è che si canta della merda pestata?

Impossibile!

Chi vuoi mai che sia così pazzo da suonare melodie foriere di cotale contenuto!

Invece, si può!

Si può, lo ripeteva sempre!

Si può!

Solo che se tu canti dall’ alto verso il basso,

l’ ultima cosa che vedi è la merda e ti fossilizzi, ti perdi l’ opportunità di capire senza giudicare, rimani impantanato nelle canine deiezioni.

Annaspi e non vedi vie d’uscita.

Ma se cambi prospettiva, ti abbassi con piglio umile, mettendoti all’ altezza della merda e guardi verso l’alto, stai a vedere che, parlando dello sterco, vedi le stelle e capisci l’esistente!

Dalla merda all’infinito, pazzesco!

Io non ci avrei mai pensato, invece quel cantante che oramai nessuno più ascolta, ne faceva melodia.

Cantava e parlava: interrompeva la musica e spiegava e poi riprendeva a cantare.

Cantava anche dei peli delle persone: cioè parlava più di fisica che di metafisica, però così facendo arrivava molto in alto.

Dal concreto all’astratto, non viceversa!

Beh, non fraintendere: il pelo è metafora che si presta all’accumulo, più ne hai, più ne vorresti.

Ti giuro che in quella canzone si capiva..

Solo che io non sono molto avvezzo, ma quando lui la cantava, lo si capiva, garantito!

Dovresti andare a riascoltatelo!

Se solo mi ricordassi come si chiama!

Mannaggia a me ed alla mia approssimazione..

Partendo da un pretesto all’apparenza inutile, arrivava dove il pensiero concretizza un messaggio universale, ma sempre in quella direzione, da terra in su.

Ha cantato anche d’impotenza, però devi andare oltre, ricorda sempre della prospettiva.

C’è anche l’impotenza mentale, quella che non ti fa amare davvero; a quella si riferiva guardando dal basso verso l’alto, perché se fai al contrario non capisci..

Poi cantava dei poveri diavoli, i poveri Cristi, quelli di cui non canta nessuno, ma che ci vanno sempre in mezzo.

Poi del vomito.. Proprio il vomito inteso come succhi gastrici eiettati con riflesso incontrollato e propulsivo, sul più bello, proprio quando stava accarezzando la sua amata.

Bam!

Gli veniva da vomitare, che risate!

Poi ancora della prima e della seconda classe;

a seguire donne e negri..

Diceva proprio negri in questa scala di valori a perdere per buttare là una provocazione forte.

Ovviamemte parlava della società e la metteva a nudo.

Lui avrebbe detto neri, ma in giro andava sentendo dire negri e quando cantava diceva la verità che vedeva, cantava della percezione comune.

Senza girarci intorno, scagliava la sua freccia con grande mira, azzeccando, non tanto l’obiettivo perché ognuno ha il suo, ma la direzione sì.

Non teneva la parte di nessuno, aspirava ad essere libero come “un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura”.

Sapeva che se non capisci te stesso, non fai altro che passare da un carrozzone all’altro, secondo convenienza.

Capiva che se non ti conosci, ti adagi alla forma del contenitore ideologico prestabilito, ma se ti capisci, dai forma al ragionamento!

Se no è troppo comodo.

Da dentro a fuori, dal basso in alto.

Ecco, era uno che piuttosto scendeva, mai saliva, proprio per quella sua deformazione dissacrante della prospettiva.

Cantava di ladri, di poveracci, di cialtroni, di puttane, di strade.

Ha cantato persino la peste di Milano, che sembra scritta oggi in piena pandemia, anche se son decenni dalla sua composizione.

A dire il vero son decenni anche dalla sua decomposizione..

Aveva un gran rapporto anche con la Madonna e si spingeva ad esser provocatorio anche con lei, ma le voleva bene.

A Maria poteva dire tutto perché era credibile.

Ci andava giù pesante.

Cantava proprio di queste cose ed era tutto un crescendo dell’assurdo!

E giù a ridere.

Cantava del fatto che la realtà è più avanti della sua interpretazione, ti sembra di aver capito ed è già cambiata: pensa oggi! È ancora più vero!

Non che sia stato il primo, per carità!

Quante ne ha dette ai laureati, all’ intellighenzia!!

A fucilate li prendeva: troppa puzza sotto al naso, senza un briciolo di merda sotto.

Un po’ come il famoso fumo senza l’arrosto..

Era un tipo strano forte, forse adesso non lo ascolta più nessuno, è da un po’ che è morto.. Però ha cantato di tutto…Non mi ricordo come si chiama, mi restano addosso queste sue sensazioni, queste evocazioni che poi, secondo me, è quello che conta.

Uno di valore insomma, però magari sbaglio..

Magari ricordo male.

Ti ho già detto che sono un po’ approssimativo?

Oramai siamo quasi vecchi pure noi, caro mio e i ricordi si impastano nelle sinapsi, le ingorgano e fanno fatica ad arrivare alla rievocazione piena.

Vapori di ricordi..

Poi mi viene da ridere che ‘sta cosa della prospettiva anche mio padre me la diceva sempre, ma alla valtrumplina: se vai su in Valle, sopra Bovegno e ti volgi verso est, vedi le tre Colombine, son montagne!

Mi chiedeva sempre”: Qual è la più alta?”

Io  che ormai lo sapevo, ripetevo comunque il rituale che ancora oggi che lui è morto, mi accompagna: rimiravo, ripensavo, valutavo e la prima, quella più vicina, era tanto così più alta e gliela indicavo!

Invece no!

La più alta è quella dietro!

Quella che sembra più bassa!

Si rideva perché quello ormai era davvero un rito, come ce n’è in ogni famiglia, ma i riti diventano fondamentali se ti indicano qualcosa, se ripropongono in modo allegro un ragionamento serio.

Anche mio padre la sapeva questa cosa della prospettiva!

Sarà una cosa generazionale..

Sarà una cosa di chi è morto ormai da un pezzo ed è uscito dalla storia, perché pare che oggi poco importi, si è più concentrati sul punto di vista che dall’ alto guarda in basso, anche attraverso le finestre virtuali..

Però, poi, in fin dei conti, due palle parlare di contenuti, meglio i contenitori, oggi più che mai…

Meglio esser contenuti direttamente..

Anzi, meglio contenersi volontariamente che a parlar troppo si annoiano gli interlocutori..

Così eran solo reminescenze, niente di importante..”

 

“Hai ragione, due palle!

Col passare del tempo sei sempre più rincoglionito.

Scusa, ma mi hai un po’ stimolato con queste tue parole..Per di più non son più abituato a bere pirli.. Il bagno?”

“Beh, quello è lì, in fondo a destra, come sempre..” rispose ridendo ed alzò il calice alla salute di chi non c’era più.

 

Tramonto, foto generica da Pixabay

UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?

Umberto Tanghetti, nato il primo ottobre 1977 ad Alcamo (Tp) da padre bovegnese e madre alcamese, cresce e vive a Concesio. Dopo la maturità classica al liceo Arnaldo di Brescia, prosegue gli studi a Padova, dove si laurea in chimica e tecnologia farmaceutiche.
Oggi lavora in farmacia a Brescia ed è tornato a vivere a Concesio.
“Non ho mai pubblicato per nessuno – scrive presentandosi – non ho miti letterari, ma grande stima per molti intellettuali: amo Calvino,i paesaggi di Čechov, la profondità di Dostoevskij… Ma se dovessi citarne solo uno citerei Primo Levi tirato dalla vita sui libri per testimoniare l’impossibile”.

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