Per motivi di sicurezza… | 🟢 BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Come fronteggiare la paura delle stragi terroristiche in tempo di pandemia e di guerra

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

di Doriana Galdrisi* – Tempo d’estate, tempo di iniziative ludiche nei parchi, nelle strade, negli stadi, con concerti, feste, festival… che coinvolgono tante persone, anche nella nostra città, dove l’offerta di questa estate 2022 è tornata molto ricca, dopo due anni di pandemia.

Tempo d’estate significa anche tempo di spostamenti, di viaggi, di affollamenti in aeroporti, porti, stazioni e strade.

Se tutto ciò da un lato è espressione concreta della ripresa di una vita “normale”, dall’altro lato è però altrettanto vero che, spesso, ci si dimentica come, “dietro” a tali scenari ricreativi o turistici, vi sia un enorme sforzo per garantire la sicurezza di tutti noi, vi siano cioè enormi quantità di persone che si adoperano per proteggere da eventi negativi come gli attacchi di terrorismo che proprio in questi contesti, sempre più spesso, si verificano

Tutti noi ricordiamo situazioni in cui, inaspettatamente, la sicurezza è fortemente venuta meno: per esempio gli attacchi terroristici degli ultimi anni, come, per citarne solo uno la cui ricorrenza è stata pochi giorni fa, quello di Nizza del 14 luglio 2016 in cui morirono 87 persone incluso l’attentatore. Quell’attentato risultò particolarmente shoccante anche perché totalmente inaspettato e avvenuto in un modo (da parte di un uomo alla guida di un camion) e in un luogo (la Promenade des Anglais) del tutto imprevedibili.

In questi giorni inoltre c’è stata anche l’uccisione dell’ex Primo Ministro giapponese, Shinzo Abe, assassinato durante un comizio elettorale.

Si tratta di un episodio ancora da chiarire che, a prima vista, non parrebbe di matrice politica, ma che in ogni caso richiama alla mente l’idea degli attacchi e del terrorismo. Terrorismo che è molto cambiato nel tempo, come ha ricordato anche il giornalista scomparso da pochi giorni Eugenio Scalfari che notò come i terroristi degli anni Settanta del secolo scorso  “conoscevano il nome e perfino l’indirizzo della vittima che avevano scelto; i terroristi di oggi non si propongono alcun futuro e non hanno alcun passato sociale e politico da ricordare. Vivono soltanto un presente”.

Il tema del terrorismo è già stato affrontato in questa rubrica in un articolo pubblicato lo scorso 29 maggio, ma, in questo secondo contributo, il focus è in particolare su 3 aspetti: che cosa determina l’ansia da terrorismo (come reagiscono le persone e, soprattutto, quali strategie sono utili per dominare questa angoscia da attacco), come viene percepita la questione della sicurezza (come è possibile sviluppare una sicurezza partecipata e condivisa anche relativamente alle nostra città), quali sono le principali evoluzioni del fenomeno.

Ma andiamo con ordine e partiamo dalle “considerazioni umane” del primo aspetto, basandoci sui contributi offerti dal professor Enrico Rubaltelli, professore associato al Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova e fondatore di “Judgment and Decision Making Laboratory (JDM Lab). Il professore Rubaltelli, in collegamento in diretta dagli Usa, è stato uno degli illustri ospiti della puntata del 21 luglio de “La scienza di eccellenza”, dal titolo: “89 mm ovvero il calibro del terrore: l’impatto psicologico e sociale delle stragi in situazioni di emergenza o di crisi”. Un ritorno molto gradito, dopo la presenza, di grande successo di pubblico, dello stesso professore alla puntata del 13 maggio 2022.

Il professor Rubaltelli ha tracciato la fisionomia della cosiddetta percezione del rischio.

Egli, infatti, ci dice come “la letteratura scientifica accumulata negli ultimi decenni mostra che il rischio è percepito dalle persone in modo soggettivo e le nostre paure non necessariamente corrispondono alla probabilità degli eventi che le scaturiscono. Il modello psicometrico ha dimostrato che la percezione del rischio può essere descritta attraverso due principali dimensioni: spavento e familiarità. Nel primo caso gli eventi rischiosi si distribuiscono su un continuum che va da poco spaventoso a molto spaventoso, mentre nel secondo caso il continuum va da rischio familiare/conosciuto dalla scienza a poco familiare/sconosciuto alla scienza”.

Nella percezione del rischio vi è anche una componente emotiva, come ben precisa il professore Rubaltelli ed “è anche quella su cui il JDM Lab si è concentrato negli studi relativi al terrorismo. Il terrorismo è un evento molto particolare perché ha un effetto non solo su coloro che ne sono vittime dirette, ma colpisce in modo indiretto anche coloro che sentono le notizie e possono facilmente immaginare un simile evento che si verifica nella loro città. Inoltre, il terrorismo è un tipo di rischio che crea grande spavento e intense emozioni. Quando ciò si verifica il nostro cervello reagisce all’intensità dell’emozione provata senza considerare qual è la probabilità effettiva che un simile evento si verifichi (probability neglect). Quello che abbiamo trovato nei nostri studi è che persone con alte capacità di regolazione delle proprie emozioni sono meno influenzate dalle notizie relative ad un attacco terroristico. Queste persone ritengono i futuri attacchi meno probabili (pur sopravvalutandone la probabilità) rispetto a coloro che hanno bassa capacità di regolazione emotiva”.

Con il professor Rubaltelli ci siamo concentrati infine sul risvolto sociale di tutto ciò: “un’implicazione che abbiamo riscontrato è quella relativa al modo in cui i partecipanti ai nostri studi percepiscono persone che appartengono allo stesso gruppo di chi ha messo in atto l’attacco terroristico ma senza essere direttamente coinvolte nell’evento (es., immigrati da paesi arabi). Coloro che hanno bassa regolazione delle emozioni tendono a sentirsi più minacciati da queste persone o gruppo di persone, sono meno favorevoli al loro arrivo in Italia e tendono a ritenerle meno intelligenti e meno evolute di noi”.

In questo è da vedersi una delle basi del cosiddetto fenomeno di co-radicalizzazione, ovvero lo sviluppo di livelli molto intensi di reazione al terrorismo stesso.

 


Si delinea pertanto l’importanza dei diversi approcci antiterroristici, in quanto e le modalità di fronteggiamento del terrorismo riflettono il modo con cui il terrorismo viene considerato.

A questo proposito vi invito all’ascolto del video podcast sulle diverse interpretazioni dell’anti-terrorismo.


Le osservazioni del professor Rubaltelli sono preziosissime e ci introducono al tema di come concretamente fronteggiare l’ansia da attacchi terroristici. In tal senso l’A.P.A, l’Associazione Psichiatrica Americana, ha condotto, a seguito alle stragi dell’11 settembre, una serie di studi sulla salute mentale delle persone e, proprio tali studi, avvalorano ulteriormente l’evidenza che gli attacchi terroristici possono ritrovarsi anche in coloro che non ne sono direttamente coinvolti.

Le problematiche che maggiormente si riscontrano nelle persone vanno dall’ansia, all’agitazione, alla difficoltà nel sonno, in un modo che è apparso molto simile a quello di chi era invece immediatamente e direttamente colpito.

Il terrorismo, infatti, ha come modus operandi soprattutto l’attacco a persone, indifese e indifendibili, in luoghi pubblici, con azioni che hanno una risonanza psicologica, sociale e mediatica molto profonda.

È ben vero che le ricerche sulle conseguenze psichiche di tali eventi traumatici indicano come, la maggior parte delle persone colpite indirettamente riesca comunque a gestire lo shock e il trauma senza particolari derive psico-patologiche nel tempo. Tuttavia riuscire a “traghettare emotivamente” nel mare della tempesta psichica che un trauma produce, richiede una serie di competenze emotive e psicologiche che necessitano di essere sviluppate e coltivate.

Si tratta del concetto di resilienza o, ancor meglio, del concetto di anti-fragilità, una abilità che va oltre la capacità di resistere e “sopportare” lo shock e che implica modalità di pensiero, analisi e azione in grado non solo di “tener testa” all’evento traumatico, ma anche di consentire la prosecuzione del proprio cammino esistenziale, senza blocchi o particolari interferenze nella qualità di vita, oltre che permettere un’ulteriore evoluzione della stessa.

Per dominare l’ansia prodotta dalla brutalità degli atti terroristici e dalle notizie che ne vengono date, è bene avere alcuni punti di riferimento da tener presenti quando ci si preoccupa troppo: il primo è quello di ricordare come la radicalizzazione e la diffusione di ideologie estreme e violente sono dei fenomeni marginali, che non hanno nulla a che vedere con un gruppo, una comunità o una religione specifici.

Questo è utile da ricordare anche ai bambini ai quali bisogna assicurare che il mondo è un posto sicuro dove, a fianco di “persone cattive”, ve ne sono molte altre “buone” e che si adoperano affinché il mondo diventi un luogo sempre più bello e migliore.

Poi si pensi che a ricorrere alla violenza è solo una piccola minoranza e che gli atti terroristici non sono così frequenti.

Ancora, per una sorta di “igiene mentale”, occorre evitare di fare indigestione di notizie negative, perché questo crea un ulteriore problema di accumulo da ansia (fenomeno del doomscrolling).

Ulteriori informazioni su come poter sviluppare una cultura della sicurezza partecipata e condivisa ci arrivano dal dottor Pietro Orizio, analista di “Analisi Difesa” e dal dottor Roberto Memme, ricercatore in “Prevenzione della radicalizzazione del terrorismo”, che hanno lavorato insieme anche  calandosi nel concreto anche della specifica realtà bresciana.

 

I dottori Orizio e Memme, a loro volta ospiti della citata puntata del 21 luglio de “La scienza di eccellenza”, nel loro volume “Il terrorismo a Brescia dopo l’11 settembre. Una mappatura di radicalizzazione e prevenzione tra città e provincia” (Liberedizioni 2020. Con la postfazione del criminologo, professor Carlo Alberto Romano) affermano che:“nella popolazione è largamente diffuso un processo di rimozione collettiva; un meccanismo di difesa con il quale la mente allontana dalla consapevolezza la possibilità che qualcosa possa accadere, che qualcuno possa colpire e che nell’eventualità toccherebbe certamente ad altri. Delegando inoltre, legittimamente e completamente la propria sicurezza alle istituzioni, il cittadino ha perso quella coscienza di poter essere parte integrante del processo di prevenzione e gestione della sicurezza: un sensore passivo e ausiliario alle forze dell’ordine” (pag. 109).

Da questo si ricava l’importanza, sottolineano i dottori Orizio e Memme, del coinvolgimento dei cittadini e l’importanza dell’educazione alla costruzione di strategie difensive, che si acquisiscono anche imparando ad “osservare l’ambiente” e a segnalare, a chi di dovere, le eventuali anomalie.

È fondamentale che si sviluppi una cultura e un insegnamento in tal senso anche rivolto alle giovani generazioni, per capire che cosa i giovani sanno del fenomeno del terrorismo e per costruire una corretta visione e capacità di fronteggiamento del fenomeno stesso. Se si considera poi che sono soprattutto le giovani generazioni ad essere un fondamentale bacino di reclutamento attraverso i canali del web, una prospettiva di educazione alla sicurezza globale e collettiva risulta ancor più fondamentale da promuovere.

La sicurezza percepita, infatti, talvolta è rovesciata: nella tragedia di Torino del 3 giugno 2017 in piazza San Carlo, il panico che si diffuse tra la folla che stava seguendo un’importante partita di calcio provocò due morti e oltre 1500 feriti. Si trattò di una “psicosi da terrorismo”, ovvero un contagio e influenza della paura di un attacco terroristico a tutti i soggetti presenti durante un evento, quando in verità, a dare avvio alla reazione di panico collettivo, non fu affatto un gesto terroristico, bensì il “banale” spruzzo di spray urticante da parte di un gruppo di borseggiatori in fuga.

Ma i dottori Orizio e Memme, con le loro osservazioni scientifiche, attraverso i loro studi, offrono in più una serie di preziose indicazioni da sviluppare anche nella nostra Città, al fine di promuovere e implementare la sicurezza collettiva.

Come ha ben spiegato il dottor Memme, la prevenzione della radicalizzazione violenta,  “non è tanto incentrata sulla prevenzione degli eventi violenti, quanto rivolta ad impedire che certe persone, in alcuni ambienti radicali, possano utilizzare la violenza estrema come metodo di confronto in pubblico. Uno di questi strumenti potrebbe essere quello di una sorta di agenzia multidisciplinare alla quale partecipino tutti gli attori del territorio, attori sociali, politici, istituzionali e professionali. Un’agenzia che metta sullo stesso piano sia le esigenze di sicurezza sia quella di tutela dei diritti sociali, civili, umani dei cittadini e dei residenti. Tra gli intenti di questa specifica agenzia multidisciplinare vi è quello di integrare la nozione di “security” con il concetto di “safety”, che si realizza attraverso la promozione di un benessere sociale che si costruisce con la reciproca conoscenza delle comunità e delle persone, nonché il reciproco riconoscimento dei rispettivi bisogni. Ogni processo di radicalizzazione si sviluppa all’interno di un contesto ed è determinato da fattori sui quali ogni attore sociale di quel contesto, proprio perché consapevole delle dinamiche del proprio territorio, può contribuire a suo modo a contenerne le derive violente. A Brescia ci sono dei tavoli e dei progetti già attivi e questi sarebbero un ottimo punto di partenza per la creazione di questa agenzia”.

Da quanto finora esposto si coglie e si sottolinea come il terrorismo si differenzi da altre forme di criminalità per il tipo di armi utilizzate e per l’obiettivo che si propone, ovvero l’utilizzo del terrore come arma invisibile al fine di produrre ulteriore terrore e di destabilizzare stili di vita e abitudini.

Il dottor Pietro Orizio ha tracciato una sorta di percorso evolutivo del terrorismo, cioè delle fasi di trasformazione di questo fenomeno, perché, ha spiegato lo studioso, “nonostante il terrorismo sia un fenomeno umano che c’è dalla notte dei tempi, è nell’Ottocento del secolo scorso che se ne può considerare l’effettivo inizio, passando attraverso una serie di tappe e di metodologie che hanno modificato le tipologie delle stragi”. Orizio ha anche messo l’accento sulle “metamorfosi che il terrorismo ha avuto in seguito all’intervento occidentale in Afghanistan, uno scenario che è probabile si ripeta nel contesto attuale della guerra in Ucraina – ha spiegato – l’Occidente infatti ha armato e addestrato le forze militari afghane e i volontari ma, nel momento in cui ha abbandonato il Paese, queste armi e queste esperienze sono state fatte proprie dai Talebani e dai foreign fighters”.

Il fenomeno delle stragi terroristiche, fenomeno complesso e multicomposto, è stato dunque analizzato nelle sue principali dimensioni, all’interno della 34esima puntata de “La scienza di eccellenza”, percorso scientifico nel quale, come già detto, le Scienze psicologiche dialogano con le altre Scienze e con le Istituzioni.

“La scienza di eccellenza” è attualmente alla sua terza edizione. Il percorso trae origine dalla pubblicazione, avvenuta in piena pandemia nel 2020 con Gam Edizioni di Rudiano, del testo “Il dopo è ora. Covid-19: come il Coronavirus gioca con le vite di tutti noi”.

Nella speranza che tutti ciò aiuti a costruire consapevolezza e disponibilità ad una sicurezza partecipata e condivisa, auguro a tutti buone vacanze, ringrazio per l’attenzione e vi rimando ai miei canali social per tutti gli approfondimenti su questo e molti altri temi.

Un pensiero di ringraziamento particolare va a tutti coloro i quali, a vario titolo, si adoperano alla sicurezza e al benessere di tutti noi.

Ci ritroviamo quindi a settembre. Grazie a tutti voi, care lettrici e cari lettori.

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

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